Piccola rivoluzione sul mercato dei diritti d’autore e dei servizi musicali digitali: la Commissione europea ha infatti rilasciato la propria approvazione alla nascita della joint venture tra PRS for Music, STIM e GEMA, rispettivamente le società di gestione di copyright e licenze musicali di Regno Unito, Svezia e Germania.
Come cambia il mercato del copyright musicale digitale
Sino ad oggi i gestori di servizi musicali digitali, come Apple iTunes, Spotify, Deezer e YouTube, hanno negoziato su base nazionale l’ottenimento delle licenze di utilizzo – tramite download dei file, riproduzione streaming o dietro abbonamento – i cui proventi vengono poi liquidati sotto forma di royalties agli autori dalla propria compagnia nazionale. La fusione dei database delle tre società coinvolte – per la sola PRS parliamo di un patrimonio di circa 95mila artisti – permetterà alle piattaforme musicali virtuali di negoziare un unico contratto di licenza. Allo stesso tempo l’amministrazione di tutti i servizi relativi ai diritti d’autore viene accentrata nel sistema della International Copyright Enterprise, la compagnia che nel 2007 fu creata dall’unione di PRS e STIM e nel cui azionariato entrerà ora anche la tedesca GEMA.
I precedenti
Non è la prima volta che si cerca di unificare il sistema di rilascio delle licenze e già dal 2001 questi movimenti finirono sotto la lente della DG Concorrenza. L’accordo di Santiago, sottoscritto nel 2000 dalle stesse GEMA e PRS, insieme alla francese SACEM ed al colosso americano BMI, prevedeva infatti l’emissione di una singola licenza comprensiva del repertorio a disposizione delle società partecipanti all’accordo, che in poco tempo finì per includere tutte quelle europee con l’eccezione delle compagnie portoghese e svizzera.
L’intesa, tuttavia, prevedeva che il rilascio effettivo della licenza fosse riservato alla società del Paese in cui era stabilito il fornitore di servizi musicali che ne faceva richiesta. Tanto bastò a meritare la bocciatura della Commissione, arrivata nel 2008, che stroncò un sistema capace di garantire solo a metà la transnazionalità del servizio.
Dubbi e richieste della Commissione
Nel caso della joint-venture, l’indagine della Commissione europea mirava ad estirpare eventuali violazioni della norme di concorrenza o chiusure del mercato rispetto a nuovi possibili attori. Per questo il via libera giunto dall’entourage del Commissario Vestager è assoggettato ad alcune specifiche richieste di garanzie per il mercato della gestione di diritti d’autore. In particolare, la International Copyright Initiative s’impegna a non forzare all’acquisto dei propri servizi amministrativi quelle case produttrici di cui PRS, STIM e GEMA gestiscono i soli diritti di esecuzione in pubblico ma non i cosiddetti diritti “meccanici”, ossia di utilizzo e riproduzione, che rimangono in capo alle major.
Non saranno possibili contratti di fornitura di licenze che escludano il ricorso ad altri gestori ed eventuali servizi amministrativi erogati a società terze di gestione dei copyright dovranno avere tariffe non superiori a quelle realizzate singolarmente da PRS, STIM e GEMA, permettendo in ogni momento il trasferimento del repertorio di copyright su altri database.
Buone nuove per gli autori
Dovrebbe e potrebbe essere, quindi, la volta buona per un effettivo allargamento dei servizi legati ai diritti d’autore aldilà dei singoli confini nazionali. La stessa Vestager ha riconosciuto il grande passo in avanti in termini di semplificazione per le piattaforme musicali online mentre Harald Heker, CEO di GEMA, ha prontamente ricordato il valore aggiunto di questo progetto nell’ambito di una buona riuscita del mercato digitale unico cui ambisce la stessa Commissione.
La riduzione degli oneri amministrativi per soggetti quali iTunes e Spotify può quindi trasformarsi in un’ulteriore opportunità per gli autori, cui la joint-venture promette un più veloce pagamento delle royalties in linea con il crescente volume di utenti online. Una buona notizia per gli artisti, soprattutto europei, che giunge a pochi giorni dall’annuncio del lancio di Apple Music per il 30 giugno: il nuovo servizio di riproduzione di musica online promette infatti ai titolari dei diritti d’autore non americani una quota del 73% delle entrate, più alta di quanto oggi non offra Spotify, fermo attorno al 70%, ma forse giustificata dal lungo periodo di prova gratuita (3 mesi) che Apple offrirà ai suoi clienti senza corrispondere royalties.