Lo scorso febbraio la magistratura spagnola ha presentato un ordine di cattura internazionale verso l’ex Presidente cinese Jiang Zemin, l’ex premier Li Peng e altri tre ex dirigenti del partito comunista cinese accusati di genocidio, tortura e lesa umanità in Tibet.
L’Audiencia Nacional di Madrid, organo giurisdizionale con competenze in materia di antiterrorismo e delitti commessi all’estero nei confronti di cittadini spagnoli, massima istanza giuridica spagnola e tribunale unico nel suo genere in Europa, l’aveva già anticipato a novembre, ma il magistrato Ismael Moreno ha preferito temporeggiare. Episodio, questo, che affonda le sue radici nel 2006, dopo la denuncia avanzata dal Comitato di sostegno al Tibet, dalla Fondazione Casa del Tibet e dall’Associazione di Thunten Wngchen Sherpa Sherpa, cittadino di nazionalità spagnola e d’origine tibetana. Protagonista il principio della giustizia universale, tramite cui la giustizia spagnola apre procedimenti e indagini in caso di reati contro un cittadino spagnolo, ovunque si trovi. Principio che consente dunque di poter giudicare in un determinato Paese una persona che si sia macchiata di gravi crimini, crimini contro l’umanità o genocidio, sebbene non abbia alcun tipo di vincolo con lo Stato che la giudica (e cioè anche se ha una nazionalità diversa e/o ha commesso tali crimini in un altro Paese).
Il Partito Popolare spagnolo ha però votato una riforma della giustizia universale conducendo all’annullamento di decine di cause aperte, proprio a partire da quella che è sboccata nel mandato di cattura internazionale contro l’ex Presidente cinese Jiang Zemin. Questa condanna contro Zemin, capo dello Stato tra il 1993 e il 2003, aveva suscitato una durissima reazione di Pechino, poche ore prima che il Partito popolare votasse la riforma che circoscrive al territorio nazionale la giurisdizione spagnola in situazioni di questo tipo. La riforma limita i poteri dell’Audiencia Nacional, restringendo l’applicabilità di una norma entrata in vigore nel 1985. Il progetto di legge modifica l’art. 23 della legge organica n. 6 del 1985 sul potere giudiziario, che prevedeva una giurisdizione universale “assoluta” in caso di crimini internazionali, autorizzando dunque i giudici spagnoli ad indagare, perseguire e giudicare i crimini esclusivamente elencati nella norma, ovunque fossero commessi, a prescindere dalla nazionalità dell’autore e delle vittime.
L’articolo 23 fu già riformato in seguito all’adozione della Legge Organica n. 1 del novembre 2009 per cui la giustizia spagnola avrebbe potuto aprire soltanto cause con un qualche vincolo con la Spagna, se ad esempio gli imputati si trovassero nel Paese o le vittime fossero di nazionalità spagnola. Il nuovo progetto di legge del Partito Popolare richiede che i presunti responsabili dei crimini siano cittadini spagnoli, stranieri abitualmente residenti in Spagna o stranieri, presenti in Spagna, a cui le autorità spagnole abbiano negato l’estradizione. Nel caso in cui non si presentassero queste condizioni, i procedimenti saranno sospesi.
Tramite il concetto di giustizia universale i tribunali nazionali potevano far emergere gravi violazioni di diritti umani, in qualsiasi parte del mondo fossero compiuti, elevandosi a garante per l’intera comunità internazionale. Oggi anche in Spagna, Paese virtuoso in materia di difesa di diritti umani e giudizi contro genocidi, torture o altri crimini contro l’umanità, la giustizia universale ha dunque cessato di essere tale.
In foto, sulla sinistra Alberto Ruiz Galardòn, ministro della giustizia della Spagna (© Council of the European Union – 2014)