Il Consiglio Competitività non ha accolto la proposta di general approach elaborata dalla presidenza lettone sul “Pacchetto sicurezza dei prodotti e vigilanza del mercato“, presentato dalla Commissione Europea nel febbraio 2013. Il pacchetto – composto principalmente da due regolamenti, uno sulla vigilanza dei mercati di prodotti, l’altro sulla sicurezza dei prodotti di consumo – aspira a migliorare la tracciabilità dei prodotti, le informazioni a disposizione dei consumatori su quello che acquistano e la capacità degli Stati di agire contro la contraffazione.Inoltre, in nome della tanto sbandierata Better Regulation, si mira anche a semplificare la legislazione in materia.
Consiglio diviso sul Made In
Il motivo della divisione in Consiglio consiste in un solo articolo. Gli Stati membri infatti sono divisi in due blocchi riguardo all’Art. 7 del Regolamento relativo alla sicurezza dei prodotti al consumo, quello che prevede l’indicazione di origine in etichetta anche per i prodotti non alimentari, noto come clausola “Made In”.
Da una parte vi sono i difensori di questa clausola, tra cui l’Italia e la Francia, secondo cui l’obbligatorietà dell’indicazione d’origine andrebbe a favore tanto dei consumatori, quanto delle PMI, che, non avendo magari marchi d’impresa riconosciuti, potranno fare della provenienza del loro prodotto la loro forza. Dall’altra parte gli oppositori della clausola, tra cui Regno Unito e i Paesi del Nord, per cui la previsione normativa causerebbe un aumento dei costi senza arrecare benefici tangibili ai consumatori.
Diversa la situazione in Parlamento Europeo, dove invece entrambi i regolamenti sono stati approvati lo scorso anno a larga maggioranza.
Tentativi di mediazione
Per cercare di dirimere le divisioni, l’anno scorso il Consiglio aveva commissionato uno studio sui costi/benefici della clausola Made In alla Commissione Europea, i cui risultati sono stati resi pubblici lo scorso 6 maggio. Lo studio ha analizzato sei gruppi di prodotti (giocattoli, apparecchi domestici, calzature, ceramiche, elettronica, tessile), consultando associazioni di imprese, organizzazioni dei consumatori e autorità nazionali. Purtroppo i risultati sono stati piuttosto vaghi e quindi il rapporto ha avuto il risultato opposto rispetto a quanto sperato, visto che ora ogni delegazione tende a sottolineare i risultati che appoggiano la propria versione dei fatti.
A nulla è valso l’approccio conciliatore della presidenza lettone, che ha avanzato come compromesso in primo luogo una clausola Made In “settoriale”, dove gli unici settori a prevedere l’etichettatura sarebbero stati quello delle calzature e quello delle ceramiche alimentari (i settori dove lo studio evidenziava i maggiori benefici). Inoltre, è stata proposta una clausola di revisione dell’Art.7 dopo 3 anni dall’entrata in vigore del regolamento.
Tuttavia, mentre a Bruxelles gli Stati membri fallivano nel trovare un accordo sul Made In, bloccando di fatto due proposte di legge fondamentali per il mercato interno dell’Unione Europea, in Italia i Ministri Martina e Calenda inauguravano ad Expo2015 il nuovo marchio Made In Italy per l’agroalimentare, una nuova iniziativa per promuovere la riconoscibilità dei prodotti italiani e combattere la contraffazione.