di Jennifer Murphy
Il muro di filo spinato lungo 175 km al confine tra Ungheria e Serbia rappresenta ciò che sta tristemente avvenendo in buona parte d’Europa. Al vertice straordinario di oggi a Bruxelles, si discuterà ancora una volta di immigrazione, ma soprattutto della tragedia che si consuma ogni giorno nelle acque del Mediterraneo e non solo. La notizia del ritrovamento di 70 migranti morti stipati in un camion e abbandonati sul ciglio della strada in Austria durante un viaggio della speranza tra Ungheria e Germania ha reso ancora una volta evidente la gravità della questione e la necessità di intervenire in maniera rapida, ma soprattutto definitiva.
Tra rinvii e dure opposizioni, i 28 Stati membri faticano a trovare un punto d’incontro. Passando dal tramonto delle auspicate quote sull’immigrazione, alla revisione del Regolamento di Dublino, fino al diritto di asilo europeo, la situazione non permette più di girarsi dall’altra parte.
Il tramonto delle quote
Lo scorso maggio la Commissione Europea, appellandosi all’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), ha paventato la possibilità di istituire un meccanismo temporaneo per la distribuzione, tra tutti gli Stati membri, degli immigrati presenti sul territorio europeo. Tenendo in considerazione popolazione, PIL, tasso di disoccupazione e numero di rifugiati già accolti, tale meccanismo avrebbe garantito una ripartizione più equa dei profughi.
Fin dagli albori della proposta però alcuni Stati non hanno voluto sottoscrivere l’iniziativa: Danimarca e Gran Bretagna si sono presto appellate alla clausola dell’opt-out. In coda, tra le altre, anche Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria e Slovacchia che si sono dichiarate a sfavore. Il Visegrad Group spinge tuttora affinché le scelte circa il tema immigrazione rimangano discrezione dei singoli Paesi, senza alcun obbligo di accoglienza definito da Bruxelles.
Nel mese di luglio, la solidarietà auspicata, ma mai messa in atto, ha lasciato posto alla spartizione su base esclusivamente volontaria, a partire da ottobre 2015. Si calcola infatti che entro tale mese 32.256 profughi – attualmente ospitati in Grecia ed Italia – dovranno essere ricollocati tra i 28 membri.
Revisione del Regolamento di Dublino e diritto d’asilo europeo
Mentre Theresa May, Ministro dell’Interno del Regno Unito, chiede una revisione del Trattato di Schengen, il Primo Ministro italiano Matteo Renzi va in direzione opposta auspicando una riforma del Regolamento di Dublino. Quest’ultimo disciplina il diritto d’asilo stabilendo quale Stato membro dell’UE debba esaminare le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato. Esso prevede che il Paese competente all’esame sia quello sul quale il migrante mette piede per la prima volta all’approdo in Europa. Di conseguenza, fino al termine della procedura – della durata di 30-50 giorni circa – quest’ultimo deve prendersi carico del richiedente asilo.
A gran voce il Presidente del Consiglio italiano – sostenuto anche da Francia e Germania – chiede che si faccia un passo avanti in Europa, avviando una politica comune sull’immigrazione e introducendo il diritto d’asilo europeo. Uniti ad un intervento diretto nei Paesi d’origine dei migranti come Libia e Siria, questi provvedimenti permetterebbero, a suo avviso, di fronteggiare quella che ormai agli occhi di tutti non è più una questione legata ad Italia e Grecia, ma riguarda l’Unione nella sua interezza. La Commissione Europea ha ben accolto le proposte provenienti da più parti, volte a garantire politiche sovranazionali definitive che costituirebbero una vera e propria svolta per l’UE. Il Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ne ha fatto menzione anche nel discorso sullo stato dell’Unione del 9 settembre.
Nella notte tra il 4 ed il 5 settembre Vienna e Berlino hanno finalmente fatto fronte comune riguardo all’accoglienza dei migranti presenti in Ungheria, aprendo loro le porte dopo giorni di tensioni con la polizia nelle stazioni ferroviarie di Budapest. La speranza ancora una volta è quella che si vada oltre un provvedimento puramente temporaneo (come dimostrano le notizie di oggi sull’irrigidimento delle frontiere tedesche), dando vita invece ad una soluzione definitiva, che vinca l’egoismo diffuso e lasci spazio alla solidarietà che dovrebbe contraddistinguere l’Europa unita.