La crisi economica continua ad infuriare ma l’indotto del calcio europeo continua a segnare dei record. Nel 2011 le società calcistiche europee hanno fatturato 16,9 miliardi di euro. Si tratta di un mercato complesso, inusuale ed in continuo mutamento. La Commissione Europea ha intuito che il fenomeno può rappresentare grandi opportunità di crescita per l’economia dei servizi. Al di là di un giudizio superficiale sul fatturato diretto delle società, va infatti considerato l’immenso indotto della pubblicità, dei trasporti e degli alberghi (si pensi alle trasferte internazionali).
Al contempo però, se non adeguatamente regolamentato, il mercato calcistico può presentare enormi rischi al pari di ogni altro mercato. Si pensi al dissesto finanziario che ha colpito negli ultimi anni club calcistici vincenti e prestigiosi come il Barcellona. Per questo motivo la Commissione ha avviato un’analisi approfondita delle caratteristiche del mercato coinvolgendo la società di consulenza di affari europei KEA ed il Cdes (Centre for the Laws and Economics for Sport).
I risultati dell’indagine sono stati presentati a gennaio del 2013 ed evidenziano numerose criticità da sanare. Viene innanzitutto evidenziata la priorità di avviare un efficiente sistema di monitoraggio dei flussi finanziari delle società, in modo da prevenire le eventuali frodi o irregolarità. L’analisi del mercato di compravendita dei calciatori impressiona, soprattutto se si paragona il giro d’affari del secondo sport più ricco d’Europa, il basket (appena 27 milioni di euro).
Il rapporto KEA – Cdes si concentra anche sulle distorsioni del mercato. Si sottolinea che i tre principali club di ogni campionato abbiano vinto tra il 75% ed il 100% dei titoli nazionali. In Italia ad esempio i tre principali team (Inter, Juventus e Milan) hanno vinto il 92% dei titoli tra campionati e coppe nazionali negli ultimi 10 anni.
In questo quadro si innesta la “proposta shock” dello studio, che farà discutere se presa in considerazione dalla Commissione Europea. Il rapporto propone infatti una sorta di tassa sulle compravendite più corpose dei calciatori tra i grandi club, con un’aliquota compresa tra il 5% e l’8% e da destinarsi alle squadre più piccole ed allo sviluppo del calcio giovanile.
Eccessivo interventismo pubblico o redistribuzione efficace? Ne gioverebbe, certo, lo sviluppo del calcio giovanile ma, per quanto riguarda il finanziamento dei piccoli club, il regolatore dovrà stare molto attento a non foraggiare eventuali inefficienze di gestione.
Sicuramente il mercato reagirà ad aliquote così elevate facendo automaticamente calare gli importi delle transazioni tra i club maggiori. Il gap tra i “big” e gli “small” in questo modo si ridurrebbe proporzionalmente al gettito previsto di tale tassa. Esaminando il caso dell’elevata tobin tax svedese si era notato che in ambito fiscale l’eccesso d’imposizione è assai rischioso quando non controproducente. Ma è pur vero che il mercato calcistico non tratta beni di prima necessità né prodotti finanziari, di conseguenza il danno sociale di uno sgonfiamento degli importi sarà praticamente inesistente.
La palla, è il caso di dirlo, passa ora alla Commissione, che si trova a valutare altre 21 proposte minori, tra cui l’implementazione della norma sul fair play finanziario (pareggio di bilancio strutturale delle società dal campionato 2014-2015) e la trasparenza assoluta di tutte le compravendite dei calciatori.