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Banche venete, destino incerto tra le richieste BCE e l’opzione “spezzatino”

In questi ultimi mesi sulle due Popolari venete, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, abbiamo letto di tutto di più. Abbiamo visto avvicendarsi Amministratori Delegati e Consiglieri, abbiamo scorso il lungo elenco delle opere d’arte inserite a bilancio a prezzi  inspiegabili e conosciuto la storia della caduta dei due banchieri, Zonin e Consoli,  presi come esempio d’eccellenza  negli anni passati.

Si sono lette molteplici soluzioni, possibili interventi di salvataggio coinvolgendo i salotti buoni della finanza italiana ma anche direttamente la politica, per poi (ri)tornare a leggere di stalli e di proposte dove la “conditio sine qua non” rimane sempre legata alla vendita delle uniche attività capaci ad oggi di sostenere e garantire un futuro autonomo ad entrambe.

Nel frattempo l’immagine e la reputazione delle due Popolari impedisce di fatto il difficile compito di fare banca, lasciandole in balia di un equilibrio precario finanziario che rappresenta il peggior biglietto da visita per una clientela di fatto già scoraggiata. Il tutto in un’ambiente che di certo non facilita la ripresa:  l’economia del Nord Est si sta solo ora riprendendo (PIL 1,2% versus 0,9% della media nazionale) dall’onda calante di questi anni che a seconda dei settori ha offuscato, appassito o imploso attività che hanno goduto di anni di eccellenze produttive a livello mondiale.

Il caso del Banco Popular

Ma in questi giorni abbiamo assistito anche ad una “best practice” che porta il timbro dell’Europa: il salvataggio del Banco Popular.

Fondato nel 1926 a Madrid e con oltre 15.000 dipendenti, il Banco fino a 5 anni fa poteva permettersi di rinunciare ai finanziamenti statali in quanto dichiarava di aver la forza per “lavarsi i panni sporchi” in casa.

Anche gli “stress test” della scorsa estate promossi dall’EBA, European Banking Authority, avevano messo sotto i riflettori  il nostro Monte dei Paschi di Siena, lasciando, ora possiamo aggiungere “misteriosamente”, l’istituto madrileno all’interno della lista dei “buoni”.

A distanza di meno di un anno, il tracollo. Una débâcle che si è concretizzata con un “fuggi fuggi” dei risparmiatori, raggelando mezza Europa finanziaria e che ricordava molto da vicino il collasso delle banche greche. Un’ emorragia che ha però permesso di attivare per la prima volta a livello europeo la dichiarazione di “rischio di fallimento”. Con questa procedura il Comitato unico di risoluzione (Srb, Single Resolution Board), la nuova autorità istituita di recente a Bruxelles per garantire la “risoluzione ordinata delle banche in difficoltà con un minimo impatto sull’economia reale e le finanze pubbliche dei paesi dell’UE” ha pilotato con estrema razionalità la banca madrilena azzerandone il valore delle azioni e dei bond subordinati.

Le similitudini con le banche venete

Con un’azione fulminea ha poi provveduto a mettere “all’asta” il Banco Popular ad un prezzo simbolico. L’occasione è stata colta al volo dal Banco Santander che ha chiuso la partita disinnescando un rischio domino sui mercati finanziari non solo europei . L’intervento è stato così tempestivo che le borse non se ne sono quasi nemmeno accorte.

Ma allora perché in Italia non è successo quanto sopra? Perché la Commissione europea continua a chiedere iniezione di capitali freschi? La risposta potrebbe sembrare semplice visto che quello che rimane delle due popolari non è certo l’abbrivio che godeva ancora la banca madrilena. La BCE ha messo nelle mani del Santander una banca in crisi ma funzionante: è stata consegnata “in e per” tempo.

Il destino della Popolare di Vicenza e della Veneto Banca sembra invece in questi giorni segnato e potrebbe arrivare per decreto, pesando ancora sullo Stato, ma sempre condizionato dal nulla osta delle UE. A Intesa San Paolo la “good bank” per un euro e il ruolo di “Cavaliere Bianco” come più volte attribuito al Santander.

Sarà la volta buona? I mercati finanziari già festeggiano in quanto si rigira la clessidra arrivata agli ultimi granelli dopo mesi seduti ad aspettare Godot. E poco conta se le due popolari verranno servite su più piatti, snaturandole: bisogna intervenire quanto prima per evitare danni maggiori. Ed ecco che il territorio, il lavoro e le imprese, come ripetuto in questi giorni dall’AD di Intesa Messina e dal Ministro del Tesoro Padoan, possono iniziare a tirare un sospiro di sollievo.

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L' Autore - Luca De Poli

classe '70, Laurea Magistrale in Economia/Management (Scienze Economico-Aziendali), seconda Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali Comparate presso l'Universita' Ca' Foscari di Venezia e Laurea tr. in Scienze Politiche a Padova. Master SDA Bocconi (2003-05) e Master Ipsoa (Pianificazione Patrimoniale). Autore del libro "78 giorni di bombardamento NATO: la Guerra del Kosovo vista dai principali media italiani" (Primo Premio al Concorso Internazionale 2015 Mario Pannunzio, Istituto Italiano di Cultura fondato da Arrigo Olivetti e Mario Soldati, Torino - Sez D). 100% del ricavato viene donato ad Amnesty International. E del libro "Ibrahim Rugova. Viaggio nella memoria tra il Kosovo e l'Italia" (Primo Premio Rive Gauche 2016 Firenze, patrocinato dal Ministero Beni Culturali - tradotto in lingua albanese). Nell'ambito economico-finanziario da circa 30 anni (Retail, Corporate & Private Banking), dal 2015 si è specializzato e opera nel mondo del Wealth Management (CF/EFPA). Per anni ha seguito progetti, nel settore bancario e non, rivolti anche al mondo del Non Profit.

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