Alla fine di settembre in Lussemburgo è andata in scena l’ultima apparizione di Wolfgang Schaüble come Ministro delle finanze tedesco. Il politico della CDU, noto come “falco” del rigore per la sua sponsorizzazione di una virtuosa disciplina finanziaria da implementare a tutti i costi nei paesi dell’Unione, lascia il suo posto di guardiano dei conti pubblici, ma non abbandona la sua filosofia. In occasione dell’ultimo Ecofin è circolato, col placet di Schaüble, un documento contenente alcune proposte per una riforma dell’eurozona. Al di là dei metodi inconsueti con il quale questo “non paper” è circolato nell’Eurogruppo – l’iniziativa legislativa secondo i Trattati cari alla disciplina tedesca spetta alla Commissione europea – il suo contenuto è inequivocabile riguardo la direzione che l’Eurozona dovrebbe prendere.
Un Fondo Monetario Europeo a guardia dei conti
La proposta centrale riguarda la natura e il ruolo del Meccanismo europeo di stabilità (MES), fondo alla base dei salvataggi dei paesi dell’Eurozona in situazioni finanziarie critiche durante la crisi dei debiti sovrani (Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Cipro). Si pensava che la nuova natura del MES dovesse essere quella di un Fondo Monetario europeo, un serbatoio di risorse per avviare una strategia di investimenti su larga scala in tutto il continente e un mezzo per favorire una maggiore crescita economica nei paesi europei. Tuttavia, il “non paper for paving the way toward a Stability Union” delinea per il MES un futuro di guardiano dei conti, che controlli il rispetto del Fiscal Compact e agisca sanzionando le violazioni.
La stretta su Npl e unione bancaria
Si esclude che esso possa essere utilizzato come meccanismo di assicurazione sui depositi, l’unico progresso possibile nel quadro di un’Unione bancaria e conseguenza diretta della direttiva sul bail-in che disciplina i salvataggi delle banche in crisi. A questo approccio di inasprimento del rigore sul lato bancario si aggiunge la posizione del consiglio di vigilanza Bce presieduto da Danièle Nouy, che supporta ulteriori stringenti garanzie sugli Npl delle banche. Una richiesta di maggiori controlli e garanzie sulla condotta delle banche non accompagnata da un ruolo del MES come meccanismo di assicurazione sui depositi delinea un sentiero che somiglia ad un vicolo cieco, composto da strategie di sanzione non accompagnate da soluzioni di lungo periodo, come la condivisione del rischio bancario. Se a ciò si aggiunge la considerazione che per anni i trattamenti nei confronti delle banche sono stati benevoli se queste operavano sui derivati e severe se svolgevano funzioni di erogazione di credito alle imprese, si comprende come sia nell’aria un sentimento di eurorigetto.
No ad un assegno europeo di disoccupazione
Sempre riguardo al MES, viene escluso un ruolo di stabilizzazione macroeconomica con capacità fiscali e un’assicurazione di disoccupazione per l’Unione monetaria. Su quest’ultima il “non paper” spiega che i diversi livelli di reddito tra i paesi membri dell’Unione rappresenterebbero un ostacolo, e che i sistemi di welfare nazionali costituiscono un adeguato meccanismo di assicurazione. Oltre a mostrare di non comprendere il valore simbolico che una simile proposta avrebbe, implicitamente si impedisce un sistema efficiente di ammortizzatori sociali nazionali quando si specifica che tali meccanismi devono essere implementati nei limiti dei margini fiscali consentiti. Margini pressoché inesistenti in Paesi come l’Italia che sono sotto la soglia del 3% debito/Pil a fatica e con un debito pubblico che pesa come un macigno proprio su quelle generazioni future colpite da un’elevata disoccupazione e permeate da un sentimento di scarsa fiducia verso l’eurozona.
Eurobond bocciati, stretta sul controllo fiscale
Per finire, si escludono gli Eurobond, cioè la mutualizzazione del debito, argomentando che non sarebbero strumenti finanziari appetibili per il mercato, mentre il mercato accettava invece di buon grado i titoli del MES, già eurobond in un certo senso.
Questo documento privilegia una datata visione di riforma dell’Eurozona. Preferisce un inasprimento delle regole del Fiscal Compact e un potenziamento del suo controllo anziché l’introduzione di nuovi elementi (eurobond, assicurazione sui depositi) che garantiscano in maniera maggiore una coesione tra gli stati dell’eurozona. Manca una visione per andare avanti insieme. In questo documento aleggia un sentimento di sfiducia da parte di alcuni Paesi nei confronti di altri. Non sarà l’illusoria figura del Ministro Unico delle finanze dell’eurozona a cambiare le carte in tavola, se poi quest’ultimo svolgerà il compito di mero esecutore delle decisioni del Consiglio e sorveglierà un MES votato esclusivamente al controllo del rispetto del Fiscal Compact.
Questa strategia di cura delle colpe nazionali, di progetti di default pilotati, di “gestione ordinata” dei titoli di Stato si dimostrano come l’insieme di politiche miopi che non faranno uscire l’Eurozona, e l’UE, da un limbo che ha generato una stagnazione in alcuni paesi e rampanti nazionalismi con conseguenze ben note in altri. Siamo lontanissimi dal discorso tenuto alla Sorbona da Emmanuel Macron.