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Da Brexit a Trump: la caduta libera della politica

Populismo, voto di protesta: etichette che spesso tendono ad essere applicate per ridimensionare il fenomeno che, ormai in ogni angolo del mondo occidentale, sta rivoluzionando lo scenario politico ed elettorale. Eppure, l’elezione di Donald Trump alla Presidente degli Stati Uniti è esattamente questo: un voto di protesta che le masse, di ogni sesso, età ed etnia, hanno indirizzato verso il populista per antonomasia, l’uomo che si è fatto strada nel rude mondo del business , un po’ donnaiolo,  e parla alla pancia dei suoi elettori, sobillando i loro più elementari istinti politici contro un sistema – l’establishment – sofisticato, corrotto e fuori controllo.

Il fallimento di Hillary Clinton nel contrastare l’avanzata di un candidato a lungo considerato troppo grottesco per essere credibile, è l’ultima dimostrazione di quanto la classe dirigente prodotta, in tutto il panorama transatlantico, nel dopo guerra fredda si sia limitata a cavalcare l’immensa rivoluzione economico-sociale che ne è conseguita senza tenerne le redini, galoppando sull’onda dell’accelerazione economica degli anni ’90, del boom digitale e di una relativa stabilità internazionale,  ma venendo sbalzata di sella alle prime difficoltà potendo opporre poco più di una debole resistenza.

Aldilà delle ragioni del voto, in ragione delle quali Trump rimarrà probabilmente un unicum nella storia mondiale ed americana, c’è un messaggio che le classi dirigenti tradizionali occidentali non possono più lasciare inascoltato, un bisogno disperato di governare secondo regole nuove i processi di mutamento sociale che rientrano in quella macro-categoria che sta sotto il nome di globalizzazione, contenitore talvolta troppo piccolo per raccogliere la multidimensionalità delle dinamiche sociali, ma comunque troppo vasto per risultare immediatamente intelligibile senza un’adeguata mediazione politica.

Da sonno della politica genera mostri

Cullare i cittadini in un mare di credito a buon mercato, senza illustrarne i rischi e deresponsabilizzando gli attori della finanza tramite il ripiano pubblico delle loro speculazioni ha contribuito a diffondere la percezione di una realtà avulsa e nemica degli interessi popolari. Estasiarsi della bellezza di un mondo teso all’innovazione tecnologica, eternamente connesso e a portata di app, ha permesso sì di individuare le forze che spingono il progresso ma ha rimandato la dovuta spiegazione delle conseguenze a chi da questo processo è escluso. Nel mondo dell’informazione ubiqua, l’assenza di schemi politici d’interpretazione della realtà ha facilitato la sua mistificazione da parte di forze che si alimentano di paura ed incertezza.

Firmare trattati commerciali internazionali senza indicare al cittadino la bontà dei suoi effetti ha lasciato la porta aperta a dietrologie di ogni sorta, nelle quali c’è spazio solo per l’annientamento dei grandi poli d’interesse economico senza alcun tentativo di intercettarli e volgerli a favore della società tutta. Illudersi che la democrazia liberale rappresenti il punto d’approdo naturale di ogni sistema politico ha contribuito a chiudere gli occhi sulle forzature illiberali e non democratiche di cui è costellato il mondo post 1989, reagendo solo laddove l’interesse economico a breve termine veniva toccato e dimenticando focolai in cui han prosperato la radicalizzazione. In Europa, dare per scontato che l’unione di 28 popoli fosse un processo autogovernato e aprioristicamente positivo, senza confutarne i lati negativi, ha aperto spazi enormi per le forze che lo vogliono disgregare.

Trump il giustiziere

Donald Trump è la nemesi delle storture createsi nel vuoto di politica. Un rifiuto netto e risolutorio di tutto ciò che non è compreso, spaventa e minaccia. Un paradosso per il quale è auspicato un ritorno ad un mondo del passato in cui ritrovare certezze ed una visione ottimistica del futuro. Un ripiegamento su sé stessi che, se non è del tutto nuovo agli Stati Uniti – Trump sarà un nuovo Hoover ? – lo è per il mondo occidentale nella vastità con cui si è manifestato, da ultimo con la Brexit dello scorso giugno.

Non è nuova neanche la sfida per i dirigenti politici e la società civile che sapranno resistere a quest’ondata nichilista, ma la sua impellenza ha superato i livelli di guardia: tornare a governare i processi sociali, contestualizzarli in una visione di lungo termine e rifuggire dalla logica elettorale di breve termine, spiegarne benefici e lati oscuri a tutte le fasce della popolazione. Si tratta insomma di tornare a concepire la democrazia liberale nella sua accezione originaria: non una fusione incontrollata di idee, proteste ed informazioni ma un processo di mediazione delle diverse istanze sociali condotto per il tramite di rappresentanti eletti per costruire un sistema più favorevole alla maggioranza enon per abbattere qualsivoglia infrastruttura politica con nefaste conseguenze per la collettività.

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L' Autore - Antonio Scarazzini

Direttore - Analista nella società di Public Affairs Cattaneo Zanetto & Co., ho frequentato un Master in European Political and Administrative Studies al Collège d'Europe di Bruges dopo la laurea a Torino in Studi Europei Dopo uno stage presso Camera di Commercio di Torino e una collaborazione di ricerca con la Fondazione Rosselli, ho collaborato dal 2014 con la Compagnia di San Paolo per lo sviluppo del programma International Affairs. Dirigo con orgoglio la redazione di Europae sin dalla sua nascita.

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