Non saranno le picconate di cossighiana memoria, ma le proposte contenute nel manifesto franco-tedesco per una nuova politica industriale rischiano di assestare un colpo letale alla tenuta del mercato unico e delle istituzioni europee. Già logorata dalle tante battaglie ingaggiate con i Governi europei – molte di queste perse con poco onore, su tutte quella delle politiche migratorie – e dai negoziati per la Brexit, l’Unione europea rischia infatti di veder eroso anche il “tesoro” della sua competenza esclusiva: la politica della concorrenza.
Il nuovo compromesso sulle rive del Reno può infatti ritracciare l’architettura istituzionale decisa a Maastricht, con un bilanciamento tra competenze condivise tra Bruxelles e gli Stati membri e pilastri di competenza esclusiva, tra cui la politica monetaria e, appunto, l’antitrust. Un assetto che molto rifletteva l’idea ordoliberale di Europa, con un accento sull’autonomia politica di alcune istituzioni chiave, tra cui la BCE e la Commissione, per garantire indipendenza decisionale nelle politiche economiche.
Il passaggio del manifesto è breve ma carico di implicazioni: in forza di una competizione globale in cui Stati Uniti e Cina nulla fanno per celare la mano interventista in economia, gli Stati membri – dicono Francia e Germania – dovrebbero essere in grado di ribaltare la decisione dell’antitrust se questa impedisse la formazione di “campioni europei” capaci di lottare alla pari con i grandi gruppi internazionali.
Alla base di questa proposta ci sono ragioni congiunturali, su tutte la bocciatura da parte della DG Concorrenza della fusione tra Alstom e Siemens nel trasporto ferroviario, ma anche lo sdoganamento di una visione economica che ha sempre strizzato l’occhio allo Stato imprenditoriale, salvo rifugiarsi – ironia della sorte – proprio dietro alle regole europee sugli aiuti di Stato per bacchettare salvataggi bancari (Italia docet) o percorsi di ristrutturazione aziendale.
Paradossale è inoltre l’inversione di fini e mezzi, dal momento che per raggiungere una maggiore competitività internazionale Parigi e Berlino sono pronte a sacrificare uno dei pochi strumenti con cui l’Ue è riuscita ad imporsi come player globale e acerrimo antagonista dei colossi USA del digitale, da Microsoft a Google. Anzi, l’intesa tra Francia e Germania cela timori e tentazioni protezionistiche, di fronte al sottodimensionamento dei gruppi europei rispetto ai competitor globali ed al rischio di scalate estere, soprattutto cinesi e americane, in settori strategici.
Alle strategie di investimento su scala europea sulla scorta del piano Juncker si sostituisce dunque la logica delle cooperazioni bilaterali tra i Paesi europei – che pure ha precedenti autorevoli, specie in campo aeronautico con il consorzio EADS, poi Airbus – accompagnata da un forte ritorno dei singoli Governi nel controllo delle compagini societarie. Al dirigismo francese si somma infatti una rinnovata attenzione del Governo tedesco alla difesa dei propri settori strategici, obiettivo primario del piano industriale presentato dal Ministro Altmaier in cui è incluso un nuovo fondo statale per la ricapitalizzazione delle aziende a rischio di acquisizione estera.
Una reazione, quella franco-tedesca, che cerca di riportare in equilibrio il confronto globale nei settori chiave dello sviluppo economico (digitale, sicurezza, salute) ma rischia nei fatti – ancor più dell’eventuale ondata sovranista alle prossime elezioni europee – di compromettere la solidità del mercato unico e dell’integrazione economica europea. Un allentamento della normativa sugli aiuti di Stato finirebbe infatti per avvantaggiare quelle economie – segnatamente quella tedesca – in grado di agire sulla leva fiscale senza compromettere le proprie finanze pubbliche, specie in assenza di un parallelo aumento della flessibilità di bilancio per consentire a tutti i Paesi di effettuare investimenti e ricapitalizzazioni strategiche in deroga agli obiettivi del Patto di Stabilità.