“Camminare sulle nostre gambe e lottare per il proprio destino”. L’Angela Merkel che a Monaco sale sul palco del comizio della CSU, l’alleato cristiano-sociale bavarese, lancia un appello al tempo stesso rassegnato e risoluto. “Di Stati Uniti e Regno Unito non possiamo più fidarci” dice la Cancelliera dalla Baviera: la Brexit prima e l’elezione di Trump poi hanno rotto il fronte occidentale, lasciando al polo europeo l’esigenza, l’obbligo di consolidarsi per affrontare la concorrenza asiatica e, storia recente, l’attrito con il trumpismo.
Al G7 di Taormina la frattura tra i leader europei e l’ingombrante omologo americano è certificata in tutta la sua evidenza, rendendo verità di fatto ciò che il Washington Post aveva ipotizzato all’indomani dell’elezione di Trump: l’affermarsi di Angela Merkel come vero leader del “mondo libero” o almeno dell’Unione europea che difende l’ordine liberale fondato sull’apertura dei commerci e della mobilità fra le frontiere.
A Taormina le iperboliche ma non per questo meno trasparenti dichiarazioni di Trump hanno toccato nel vivo gli interessi vitali della Germania: difesa del surplus commerciale, svolta sostenibile delle politiche per il clima e collaborazione nella gestione di terrorismo e migrazioni. Dall’Accordo sul clima di Parigi, che Trump pare pronto a rigettare nei prossimi giorni, Merkel vuole infatti iniziare a compattare attorno a sé il fronte europeo ma è sulle politiche commerciali che Berlino gioca la sua vera partita.
Non è fantapolitica pensare ad una Cancelliera pronta a cedere qualcosa sul piano degli aggiustamenti fiscali o sul potenziamento degli investimenti infrastrutturali, in cambio di un supporto convinto da parte degli alleati europei in vista di conflitti commerciali, come quelli paventati poco più di un mese fa dal vice-cancelliere tedesco Sigmar Gabriel dopo che gli Stati Uniti avevano accusato cinque paesi europei, tra cui la Germania, di operare politiche di dumping nel settore dell’acciaio.
Egemone riluttante che finora ha guardato al mantenimento dello status quo che ha favorito il suo boom economico, la Germania si trova dunque a dover reinterpretare l’esercizio della sua leadership in chiave attiva. Il momento è favorevole: l’elezione di Macron in Francia ha spezzato l’avanzata del populismo, mostrando un leader francese europeista e pragmatico, partner perfetto per far ripartire il motore franco-tedesco. La ripresa dell’economia europea, seppur a gradazioni diverse tra i Paesi membri, è una realtà confermata dalle parole di Mario Draghi e dall’intenzione della BCE di avviare il suo tapering, una prima stretta alla politica monetaria del quantitative easing.
L’arretrare della SPD di Schulz nei sondaggi sembra inoltre spianare la strada al quarto mandato da Cancelliera per Angela Merkel ma l’appello accorato lanciato da Monaco lascia, nell’elettorato tedesco e non, la sensazione di una scelta obbligata: quella di una leader inevitabile, capace di maneggiare con sapienza pragmatismo (vedi l’inasprimento delle politiche sull’immigrazione dopo i recenti attentati) e cinismo (si pensi all’intransigenza tenuta sulla questione greca), intransigente con i suoi omologhi (che dire dei battibecchi con l’ex premier Renzi ?) ma pronta a prendere la testa del gruppo quando gli interessi tedeschi ed europei raggiungono la stessa lunghezza d’onda.