Matteo Renzi alza i toni e attacca duramente da Bruxelles “l’Europa a guida tedesca”. Affonda sull’unione bancaria, ancora deficitaria, sulla discussa (e discutibile) applicazione delle sanzioni alla Russia e sulla fallimentare politica migratoria europea. A metà tra politica interna e politica europea, tra dichiarazioni pubbliche e scontri dialettici nelle segrete stanze del Consiglio Europeo, il premier italiano gioca di sponda con le richieste inglesi di una riforma complessiva dell’Unione e replica piccato al Commissario all’unione bancaria, l’inglese Jonathan Hill, reo di aver scaricato sull’Italia la responsabilità del salvataggio delle banche in difficoltà.
Si è trattato di un confronto punto per punto con la Germania, ha detto Renzi a margine dell’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo di questo tormentato 2015 europeo. Berlino, ha detto, non è “il cuore che pulsa sangue verso tutta l’Europa”, come invece direbbero i politici tedeschi. I toni di Renzi, più combattivo a Bruxelles quanto più attaccato in patria, sono altrettanto duri nei confronti della Commissione Europea, ormai identificata come ostacolo a una politica economica nazionale orientata alla spesa pubblica e volta a incentivare i consumi e la domanda interna.
L’Italia renziana è oggi alla ricerca di alleati, al di là e al di qua della Manica, per rendere l’Unione un po’ meno rigida, un po’ meno centralista, un po’ meno merkeliana. Una sponda quantomai attesa potrebbe arrivare nei prossimi giorni dalla Spagna. I cittadini spagnoli saranno chiamati domenica alle urne per eleggere il nuovo parlamento (le Cortes Generales), in particolare il Congresso dei Deputati, la camera bassa che esprime e revoca la fiducia al governo. Renzi e le forze politiche che auspicano una svolta politica in Europa tifano per la discontinuità e aspettano un governo socialista, o almeno non conservatore, con il quale costruire un asse contro il fronte del rigore.
La Spagna al voto nell’incertezza
Il premier conservatore Mariano Rajoy (Partito Popolare, PP) è stato negli ultimi mesi uno dei più stretti alleati di Angela Merkel in Europa. Ambasciatore mediterraneo del rigorismo euro-tedesco, grande nemico di Alexis Tsipras e paladino delle riforme strutturali a favore della competitività, Rajoy arriva alle elezioni in testa ai sondaggi, ma in un Paese profondamente cambiato dal punto di vista politico, assai più frammentato rispetto a quello che aveva ereditato dal socialista Zapatero all’indomani della crisi economica e finanziaria.
La crescita di Podemos (sinistra radicale), la repentina ascesa di Ciudadanos (centro liberale) e il consolidamento dei nazionalisti catalani hanno sancito il tramonto del tradizionale bipolarismo tra Partito Socialista (PSOE) e i conservatori del PP, questi ultimi però ancora saldamente in testa ai sondaggi, sebbene lontani dall’obiettivo di garantirsi una maggioranza parlamentare autonoma.
Il PSOE di Pedro Sanchez mira a tornare al governo, ma non potrà prescindere da una coalizione con almeno una delle nuove formazioni nazionali. Nonostante i tentativi di alzare i toni dello scontro con il governo, evidenti nel durissimo confronto televisivo con il premier Rajoy, i sondaggi registrano un arretramento del PSOE, in grande difficoltà nelle fasce più giovani della popolazione.
I giovani spagnoli alla ricerca di un’alternativa guardano altrove. A Podemos, formazione anti-euro scesa però al 17% dopo i picchi delle europee. E ai liberali di Ciudadanos, formazione nata in Catalogna che oggi compete con il PSOE per il ruolo di secondo partito nazionale. Il leader Albert Rivera è capace di catturare elettori a sinistra e a destra e potrebbe rivelarsi il vero “king maker” dello scenario post-elettorale. Collocati al centro dello schieramento e, sulla carta, compatibili con la politica economica del PP e con la piattaforma di riforme promessa dal PSOE, i deputati di Ciudadanos potrebbero risultare decisivi per la formazione di una maggioranza di governo.
Lunedì mattina la Spagna potrebbe svegliarsi nell’incertezza, rappresentando al tempo stesso l’ago della bilancia nello scenario politico europeo. Una Spagna ancora governata da Rajoy e allineata alla politica economica euro-tedesca favorirebbe lo status quo. Un governo socialista o almeno di centrosinistra potrebbe invece mischiare le carte delle alleanze in UE, aprendo la strada a nuovi scenari nel risiko europeo del 2016.