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Simone Veil, da Auschwitz alle battaglie per donne, aborto ed Europa

Il cielo plumbeo che ricopre Parigi scarica sulla città una pioggia scrosciante e violenta. L’occhio poetico di Le Parisien vi legge il commiato della natura a Simone Veil, che nella giornata del 30 giugno muore, a pochi giorni dal proprio novantesimo compleanno. Una figura poliedrica, impegnata nel corso della propria vita in numerose battaglie, delle quali la più famosa resta la depenalizzazione dell’aborto.

Il dramma della Shoah

Simone Jacob (sposata in Veil) nasce a Nizza nel 1927, da una famiglia laica di tradizione ebraica. Nel 1944 viene deportata ad Auschwitz-Birkenau, divenendo la matricola 78651. L’anno successivo intraprende la «marcia della morte» in direzione di Bergen-Belsen, dove rimane sino alla liberazione operata dall’armata britannica. Come sopravvissuta alla Shoah, Simone Veil ha più volte manifestato il proprio timore verso il pericolo non tanto dell’oblio degli orrori dei campi, quanto del «cattivo ricordo», dell’utilizzo della memoria come forma di vezzo intellettuale. Per l’ex eurodeputato Daniel Cohn-Bendit, «Simone ha incarnato innanzitutto il miracolo della riconciliazione franco-tedesca, il simbolo vivente della straordinaria capacità dell’Europa di superare il dramma dell’orrore assoluto».

A tutela della donna

Di ritorno a Parigi, Simone si iscrive a Sciences Po, dove si laurea in legge e conosce il futuro marito,  Antoine Veil. Nel 1956 supera il concorso di magistratura e nel 1970 diventa la prima donna Segretario generale del Conseil supérieur de la magistrature. La sua carriera giudiziaria termina nel 1974, quando il primo ministro Jacques Chirac le propone di prendere la guida del Ministero della Salute in seguito all’elezione di Valéry Giscard d’Estaing a Presidente della Repubblica. Simone Veil riceve anche l’incarico del ministero della Famiglia e della Sicurezza Sociale. Questa triplice nomina consente alla Veil di esprimere al meglio il proprio pensiero sulla natura femminile. Estranea alla teoria del femminismo “materialista“ (allora dominante), il ministro compie un’opera non riuscita agli esponenti della sinistra nei 10 anni precedenti. Il 29 novembre 1974, infatti, l’Assemblée Nationale depenalizza l’aborto, dopo 2 giorni e 3 notti di discussioni in aula. La Loi Veil è infatti approvata con il supporto unanime dell’opposizione e il voto contrario di 2/3 della maggioranza. A essere innovativo, tuttavia, non è solo l’impegno nella lotta per l’eguaglianza uomo-donna da parte di una politica di estrazione centrista. La reale novità, non sempre celebrata a dovere, consiste nell’intendere la libera scelta sull’interruzione di gravidanza come uno dei tasselli del mosaico che è la salute riproduttiva femminile. Quest’ultima, come insieme di pianificazione della maternità, di compatibilità con il lavoro e come cura all’infertilità, è il vero scopo di Simone Veil.

L’approdo all’Europarlamento e la nomina a presidente

Nel 1979 si pone alla guida dell’Unione per la Democrazia Francese in vista delle prime elezioni a suffragio universale per il Parlamento europeo. La lista ha un’anima fortemente europeista e liberale e vede incoronato il proprio successo quando, nel luglio di quell’anno, Simone Veil viene eletta Presidente dell’assemblea a Strasburgo. Nel 1984 si candida nella lista di centro-destra RPR-UDF, della quale lei e Chirac sono i capofila. Il valore dell’impegno europeo della Veil è senza dubbio più simbolico che materiale, soprattutto per l’inconsistenza dei poteri attribuiti al PE nel ‘79. Vincitrice nel 1981 del premio Charlemagne a favore dell’unificazione europea, è lei stessa a sottolineare come: «tenuto conto di ciò che rappresento, vediate nella mia candidatura un simbolo della riunificazione franco-tedesca e il modo migliore di voltare definitivamente la pagina delle guerre mondiali».

Simone Veil, una donna oltre le categorie  politiche

Terminata l’attività al PE, nel 1993 è nuovamente ministro (governo di Édouard Balladur) per gli Affari e la Sicurezza sociali. Ancora una volta, profonde il proprio impegno a favore dell’emancipazione femminile, sotto il vessillo di valori morali più che di simboli politici. Liberale in fatto economico, ma «a sinistra per ciò che concerne gli affari sociali», a un giornalista che la definisce una donna di destra risponde: «No, io leggo sempre Liberation». L’impossibilità di inquadrarla seccamente in un partito, l’ha resa più volte una figura enigmatica, specialmente quando, nel 2013, sfila con il marito nella manifestazione contro il Mariage pour tous. In ogni caso, la Francia e l’Europa salutano con la sua dipartita un monumento alla difesa delle donne, che ha saputo sublimare il femminile in un’epoca in cui i movimenti femministi hanno voluto, più spesso, demonizzarlo.

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L' Autore - Tullia Penna

Dottoranda in Bioetica (Visiting à Sciences Po Paris; Giurisprudenza UniTo; presso la stessa: Laura Magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza e Certificato di Alta Qualificazione della Scuola di Studi Superiori Ferdinando Rossi - SSST). Ex tutor e rappresentante degli studenti della SSST. Mi occupo di principalmente di questioni relative all’inizio e gravidanza surrogata. Appassionata di tematiche trasversali, mi interesso di diritti civili ed evoluzione delle istituzioni democratiche. Nel tempo libero sviluppo le mie abilità di fotografa e viaggiatrice.

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