“I Balcani interi non valgono le ossa di un solo granatiere della Pomerania”, così la pensava Otto Von Bismarck al tramonto del XIX secolo. Quella dello statista prussiano non sembra essere un’opinione condivisa oggi a Berlino, e meno che mai a Bruxelles, dove in molti puntano sulla scommessa balcanica dell’Unione.
Le spinte della presidenza bulgara
L’intento è noto da tempo, favorire l’integrazione di quei Paesi sorti dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia e che si trovano in un limbo politico, economico e religioso tra Occidente e Oriente, protagonisti della Storia, in una penisola la cui carta geografica racconta da sola buona parte del Novecento. A puntare molto sulla scommessa dell’integrazione balcanica è la Bulgaria, che detiene in questo primo semestre dell’anno la presidenza di turno dell’Unione. L’obiettivo di Sofia, secondo il suo primo ministro Boyko Borissov, è non di spingere per l’integrazione politica – che ha i suoi tempi i quali si differenziano da Stato a Stato – ma promuovere quella economica, di cui la Bulgaria, ai margini geografici dell’Europa orientale ha un disperato bisogno.
Sofia dista da Tirana poco più di 500 km, tuttavia il viaggio non dura meno di 8 ore in auto. Le ore sono 9 se da Sofia si vuole raggiungere Sarajevo, capitale della Bosnia –Erzegovina (poco più di 600 km). Alla luce di questi numeri si comprende bene perché la ministra bulgara degli Affari Esteri, Ekaterina Zakharieva, parli di un bisogno di “connettività” per il suo Paese. Reti infrastrutturali di qualità nella penisola, chiave per “legare” la Bulgaria ai suoi partner occidentali, oltre che importante passo in avanti per l’integrazione politica delle nazioni balcaniche nell’Unione, sono fondamentali e rappresentano l’oggetto di diversi piani di sviluppo e di investimenti che Bruxelles ha promosso nella regione.
Lo status dei candidati all’ingresso nell’UE
Dal punto di vista prettamente politico, i più prossimi all’ingresso nell’UE, i Paesi – candidati, sono il Montenegro, la Serbia, l’Albania e la ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Il primo sembra essere sulla strada giusta per soddisfare i cosiddetti criteri di Copenaghen (libero mercato, stato di diritto, capacità di adeguamento all’acquis comunitario), anche l’Albania lavora alacremente in questo senso. Sulla Serbia si nutrono ancora dubbi sulla condizione del rispetto dei diritti umani, oltre all’ostacolo politico del non riconoscimento del Kosovo da parte di Belgrado, aspetto difficilmente compatibile con la posizione di Bruxelles. A proposito della Macedonia, resta ancora da capire come la pensano i Greci sul nome che tale nazione dovrebbe avere, e per Atene non pare essere argomento di poca importanza. Da ultimi, Bosnia e Kosovo aspirano a diventare Paesi – candidati.
Al di là della simbologia storica che avrebbe l’integrazione dei paesi balcanici nell’Unione, e delle pressioni della Bulgaria in questo senso, l’orientamento positivo che si manifesta a Bruxelles è dettato da ragioni geopolitiche più pressanti. La penisola balcanica è oggetto del contendere di tre attori importanti: Russia, Cina e Turchia.
L’ombra di Mosca, Pechino e Ankara sui Balcani
Il legame tra Mosca e i Balcani, in particolare la Serbia, è plurisecolare e colmo di sfaccettature storiche e religiose. Per il Cremlino è fondamentale mantenere rapporti solidi con popoli ortodossi fratelli, in primis con la Serbia, in virtù del fatto che le relazioni con l’Unione Europea, in seguito al problema ucraino, non sono delle migliori. Nella penisola balcanica si giocano importanti partite strategiche per l’Europa, opportunità infrastrutturali e una via per il Mediterraneo e la Grecia, tutte cose che Putin non vuole né può perdersi.
Pechino, come d’abitudine, lavora in silenzio e aumenta la sua influenza nella regione a colpi di investimenti miliardari. Per la Cina la penisola balcanica è un passaggio obbligato nel trasporto dei propri prodotti dal Pireo (acquistato nel 2016) al cuore dell’Europa. Finora ha firmato 22 accordi di cooperazione nella regione, tra cui quello per una ferrovia Atene – Budapest. E’ la diramazione balcanica del nuovo progetto per una Via della Seta del Presidente Xi Jinping. Si capisce dunque perché l’UE voglia prender parte a questa partita.
Infine la Turchia, antico dominatore della penisola, gioca la sua partita su più fronti, ed uno di questi sono i Balcani. Ankara è a tutti gli effetti una potenza musulmana, che punta a rafforzare i suoi legami religiosi con le popolazioni locali. Pur di sostenere i suoi correligionari, dal governo di Erdogan piovono aiuti per finanziare la costruzione di nuove moschee. E’ nell’interesse della Turchia allontanare il più possibile i Balcani da Bruxelles, per restare l’unico attore capace di influire sull’equilibrio regionale e con cui l’UE può dialogare.
In definitiva, quella dei Balcani è una scommessa fondamentale per un’Unione che si interroga ogni giorno sul suo destino. Vedremo se un inizio di risposta arriverà a maggio, al vertice che si terrà a Sofia tra i 28 e i sei paesi della Regione.