Vince Thaçi, vince la continuità. I dati ufficiali cominciano ad arrivare dopo le 22, a cinque ore circa dalla chiusura dei seggi. Ed evidenziano subito il testa a testa tra il suo partito, il PDK, e quello di opposizione, l’LDK. Un testa a testa che però il PDK sembra destinato, ancora una volta, a vincere. Vincere delle elezioni che fino ad ieri son state addirittura in dubbio, per l’incidente nella centrale elettrica Kosovo A, nella municipalità di Obilić, in cui son morti 3 operai (13 feriti). Si è ipotizzato anche che la Presidente Atifete Jahjaga potesse proclamare per ieri una giornata di lutto nazionale, posticipando la tornata elettorale.
Neanche la campagna elettorale che ha portato il Paese alle elezioni si è svolta in modo “normale”. E’ durata infatti solo 10 giorni. Le elezioni anticipate si son rivelate necessarie dopo la crisi di inizio maggio, dettata dall’incapacità del Parlamento di trovare un accordo sulla creazione dell’Esercito del Kosovo, boicottato soprattutto dai parlamentari serbo-kosovari. 10 giorni in cui si son succedute roboanti promesse elettorali. Di Thaçi e del suo PDK, che in “Nuova Missione” (il loro programma) hanno parlato di 200.000 nuovi posti di lavoro, della costruzione di nuove infrastrutture e di aumento del 25% dei salari del settore pubblico. L’LDK ha puntato invece sul settore agricolo, promettendo di triplicare i sussidi per rilanciare l’agroalimentare.
Le promesse non sembrano però essere risultate sufficienti ad alterare gli equilibri elettorali, con il PDK (31,24%, conteggiato il 95% delle schede) rimasto avanti rispetto all’LDK (26,12%) che comunque lamenta irregolarità, come la presenza nei corridoi dei seggi di rappresentanti di lista che cercavano di influenzare gli elettori. Non sembra esserci stato neanche il boom dei nazionalisti di Vetëvendosje!, che i sondaggi davano al 17-22%, dopo il successo alle elezioni locali, e che invece si ferma al 13,73%. Lontani Aak (9,65%) e Nisma per Kosoven (5,36%). Non supera lo sbarramento Akr (4,72%).
Marginale, nella campagna elettorale, l’argomento Europa, probabilmente troppo scomodo. Catherine Ashton nei giorni scorsi aveva dichiarato che “l’UE si aspetta elezioni libere, eque ed inclusive”. Gradite all’UE le parole del governo serbo e del nuovo premier Aleksandar Vučić, che aveva deciso di spronare i serbi alla partecipazione per “conquistare più seggi possibili nel Parlamento provinciale ed utilizzarli per tutelare i diritti dei serbi e la nascita dell’Associazione delle Municipalità serbe del Kosovo”.
Un appello che tutto sommato ha dato i suoi frutti. Per la prima volta infatti, in un elezione legislativa kosovara, anche i serbi del nord del Kosovo hanno deciso di partecipare. Lo avevano fatto nel corso delle amministrative, ma stavolta, nelle 4 municipalità del nord, la partecipazione è stata più elevata: 38,83% a Mitrovica, 37,44% a Leposavic, 41,02% a Zubin Potok e 27,36% a Zvecan. Dati non elevatissimi, ma comunque in linea con l’affluenza media generale, 43,5%, piuttosto bassa. Il voto dei serbi si è concentrato sulla lista “Srpska” appoggiata anche dal governo serbo, che sembra aver raccolto quasi il 3% dei voti.
Una percentuale che non le consentirà di superare la soglia dei 10 eletti, come auspicato da Belgrado. E’ esaurito infatti il bonus di due mandati garantito dalla Costituzione kosovara, che prevedeva fino alla scorsa legislatura 10 seggi riservati ai serbi (altri 10 tra rom, ashkali, bosniaci, egiziani e gorani), da aggiungere a quelli guadagnati in base alla ripartizione proporzionale dei voti. A partire dalla presente legislatura invece rimangono solo i 10 seggi riservati, numero aumentabile solo in caso la ripartizione proporzionale risulti più favorevole rispetto ai 10 seggi riservati (in pratica se “Srpska” raggiungesse il 9-10%). Falliti i tentativi di prolungare di mandato la vecchia regola.
Si riparte per Thaçi con gli stessi problemi della scorsa legislatura. Un Parlamento all’insegna dell’equilibrio (flebile la speranza che riesca ad essere più stabile) e le tante sfide da affrontare. Dalla politica interna (lotta alla corruzione, disoccupazione, rilancio economia, la scarsa affluenza è campanello d’allarme) a quella estera, con l’UE che per esempio chiede una corte, con sede al di fuori del Kosovo, per perseguire i crimini commessi dall’UCK durante la guerra (coinvolto lo stesso Thaçi, servirebbe riforma costituzionale per crearla). C’è poi da riprendere il discorso con la Serbia, i cui ultimi sviluppi risalgono a marzo, quando un accordo in tema “giustizia” sembrava imminente. Rallentato dalle varie tornate elettorali (Serbia, UE, Kosovo), ora dovrebbe però beneficiare della continuità. Tutto riparte coi vecchi-nuovi premier, Vučić e Thaçi.
Nell’immagine, un manifesto elettorale della campagna del 2007 (© A Taste of Kosova, 2007, www.flickr.com)