Siamo soliti pensare che i curdi che giungono in Europa provengano dal Kurdistan e che oggi sia sempre il Kurdistan ad essere difeso dalla sua popolazione dagli attacchi dell’ISIS. Ma in realtà il Kurdistan non esiste. O meglio, non esiste uno Stato, dotato di un’unità politico-amministrativa, ma sussiste la comunità di individui che condivide la stessa lingua, storia e cultura e che abita il vasto altopiano nella parte settentrionale e nord-orientale della Mesopotamia. Dopo anni di dominazione ottomana, nel 1920, il Trattato di Sèvres prevedeva per la prima volta la creazione di uno Stato indipendente curdo all’interno dei confini stabiliti dalla Società delle Nazioni. Ma nel 1923 gli ex Alleati concludono un nuovo accordo, il Trattato di Losanna, e, sostenendo le ragioni del leader della guerra di indipendenza turca Kemal, determinano lo smembramento del Kurdistan e la diaspora della sua popolazione tra Turchia, Iraq e Siria.
Sebbene l’aspirazione curda ad uno Stato indipendente ed autonomo non sia mai morta, la divisione della popolazione nelle diverse aree geografiche ha influito sulle modalità di realizzazione di questo progetto e, soprattutto, sui rapporti col governo turco.
I curdi in Turchia
In Turchia il movimento di indipendenza curdo è rappresentato dal PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) fautore del dissenso armato e violento contro il governo centrale e della lotta incessante al Daesh. L’ideologia socialista del PKK è condivisa dall’HDP (Partito Democratico del popolo) che si è fatto promotore dell’avvicinamento tra i dissidenti e le autorità. Proprio il positivo riscontro dell’HDP alle elezioni del 2015 ha però inasprito i rapporti dei curdi col governo. A sostegno delle ataviche ostilità si è aggiunto che l’HDP ha conquistato seggi in Parlamento privando il partito di Erdogan della maggioranza detenuta sino ad allora. Il presidente turco l’ha così accusato di appoggiare le rivolte armate del PKK, bollato come organizzazione terroristica dalla Comunità internazionale al pari dell’ISIS che combatte, e ha interrotto i negoziati di pace che erano iniziati nel 2012 e che avrebbero comportato il ritiro progressivo delle truppe curde a fronte del riconoscimento costituzionale della loro identità.
Il Kurdistan siriano
In Siria i curdi hanno conquistato la regione settentrionale del Rojava e sono supportati da un altro braccio armato, l’YPG (Unità di Protezione del popolo curdo) che condivide l’ideologia di estrema sinistra del PKK. Su questo territorio i curdi rappresentano il baluardo più strenuo della lotta contro l’ISIS. Il destino dei curdi siriani e di quelli turchi sarebbe collegato: è una certezza che Ankara abbia armato i ribelli siriani contro i curdi. Se i curdi siriani riuscissero nel loro intento di creare uno Stato indipendente, allora anche gli animi e la tempra dei curdi turchi ne uscirebbero rinforzati e questo è un pericolo che Erdogan non può permettersi di correre. D’altra parte sia i curdi siriani sia quelli turchi hanno sempre voluto liberare dalla minaccia integralista soltanto i territori di proprio interesse trascurando le zone a maggioranza araba.
Il destino intrecciato con la lotta all’ISIS
Se per Ankara i curdi turchi sono tornati ad essere dei nemici terroristi appoggiati da quelli siriani, il rapporto di Erdogan con i curdi stanziati sul territorio iracheno è più pacifico, non solo per lo stampo conservatore del partito di maggioranza ma soprattutto per i vantaggi economici che la Turchia ne trae. Appoggiati dagli USA, anche i peshmerga iracheni stanno difendendo il proprio territorio dai terroristi islamici e hanno sbarrato la strada che l’ISIS utilizzava per raggiungere il territorio siriano.
È innegabile che la lotta all’autoproclamato Stato islamico si è aggiunta alla spirale di violenza già innescata per il perseguimento del progetto pan-curdo; è un circolo vizioso fatto di ribellione e repressione che ha reso i curdi vittime delle stesse pratiche sanguinarie e violente che hanno utilizzato per non essere più soltanto una Nazione ma anche uno Stato. È per questo che l’unica soluzione, prospettata anche a Bruxelles nel gennaio 2016 durante la Seconda Conferenza internazionale Unione Europea, Turchia e Kurdistan, è quella di attivare un processo di pace che coinvolga tutti i soggetti interessati. I curdi non possono più essere esclusi dalle trattative e i loro diritti umani compromessi; fino a quando ciò non accadrà il procedimento di ingresso della Turchia in UE resterà bloccato. I curdi esistono, pur essendo la più grande popolazione al mondo priva di un’entità statale.