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La fine del partito Baath in Medio Oriente?

Con la ventilata uscita di scena di Bashar el Assad in Siria, oggetto di tensioni in questi mesi tra Washington e Mosca nell’ambito della discussione sulla lotta contro l’Isis e sulla risoluzione del conflitto civile che va avanti da quattro anni, sparirebbe uno dei più importanti bastioni di un partito che ha fatto la storia del Medio Oriente contemporaneo: il “Baath”.

Era il lontano 1940 quando il cristiano ortodosso Michel Aflaq ed il musulmano sunnita Salah al Din al Bitar, giovani siriani studenti a Parigi, fondavano il partito: i valori sono quelli di nazionalismo e socialismo, appresi dalla cultura politica francese, ma conciliati con il loro background culturale arabo. Il loro slogan è “Unità, Libertà e Socialismo”, l’obiettivo è lottare contro le potenze coloniali, superare l’influenza dei notabili nella politica mediorientale e promuovere su un piano di parità le nazioni arabe.

Il Baath in Siria

In Siria, il “Baath” arriva al potere nel febbraio del 1966, grazie ad un golpe organizzato da un gruppo di giovani ufficiali che mette in piedi un “governo dei dottori”: Presidente della Repubblica è Nureddin al Din al Atassi, il premier Yusuf Zuyin, il Ministro degli Esteri è Ibrahim Makhos, mentre il  Ministro della Difesa è Hafez al Assad, destinato a diventare famoso come “il Bismarck del Medio Oriente”, quando avrebbe assunto la guida del Paese a partire dal 1971.

Il nuovo regime si distingue subito per i forti toni socialisti, anti-occidentali ed anti-israeliani: «La questione della Palestina è l’asse principale della nostra politica nazionale, araba ed internazionale – si legge nel manifesto del nuovo regime -. La battaglia di liberazione può essere combattuta solo da forze arabe progressiste attraverso una guerra popolare di liberazione che, come ha dimostrato la storia, è l’unica via per la vittoria contro ogni forza aggressiva. Essa rimarrà la strada finale per la liberazione dell’intera patria araba e la sua globale unificazione popolare socialista».

Lo scenario globale è quello della Guerra fredda: a caratterizzare la politica estera del regime siriano è il mai spezzato legame con Mosca, da cui arrivano aiuti sotto forma di cooperazione economica ed assistenza militare. Un legame così importante che lo studio della lingua russa viene introdotto persino nelle scuole. Sullo scacchiere mediorientale, i nemici di Damasco sono i Paesi arabi moderati e filoccidentali, oltre ad Israele.

Poco cambia quando nel luglio 2000 Bashar el Assad subentra al padre, deceduto il mese precedente. Tuttavia, le critiche occidentali si fanno pesanti quando nel 2005 il regime viene sospettato di essere il mandante dell’uccisione del premier libanese Rafiq Hariri e d’intessere strani legami con Hezbollah e con l’Iran di Mahmoud Ahmadinejad. Nel 2011, Damasco sembra in un primo momento immune dalla primavera araba, ma in pochi mesi la Siria sprofonda in uno stato di guerra civile, con varie forze interregionali coinvolte, di difficile soluzione.

Il Baath in Iraq

L’altro storico bastione del “Baath” è stato l’Iraq, almeno dal golpe militare del 1968 fino al rovesciamento del regime di Saddam Hussein nel 2003. Tuttavia, le relazioni estere di Bagdad hanno oscillato, in tale arco di tempo, tra varie posizioni: vicino all’Unione Sovietica durante la Guerra fredda, negli anni ’70 si registra un avvicinamento alla Francia tramite una più stretta cooperazione militare, anche a scopi nucleari, poi fatti naufragare dagli israeliani. Durante la guerra contro l’Iran dell’ayatollah Khomeini, Mosca e Washington preferiscono però appoggiare entrambe Bagdad, anziché Teheran.

Ma alla fine del bipolarismo, Saddam Hussein viene dipinto dagli Occidentali come un “nuovo Hitler”. Il regime viene costretto ad abbandonare i suoi progetti di annessione del Kuwait, ritenuto storicamente appartenente all’Iraq, poi sottoposto a pesanti sanzioni e limitazioni persino sulle medicine e sui generi alimentari, fintanto che il gruppo dei neoconservatori non arriva al governo a Washington, facendo del Paese del Tigri e dell’Eufrate oggetto di una guerra di cambiamento del regime.

Il “Baath” viene spazzato via dalla scena politica irachena, i sunniti sostituiti al governo dagli sciiti, viene estromessa tutta la classe dirigente composta dai funzionari che erano stati protagonisti sotto il regime di Saddam: lo Stato iracheno viene destrutturato, lasciando terreno fertile per il terrorismo e per lo sviluppo dell’Isis.

Ma è possibile che qualcosa di simile possa accadere adesso per il regime siriano, ultimo lascito della tradizione “baathista”?

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L' Autore - Antonino Stramandino

Laureato, con lode, nella Magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche, curriculum Politica e Sicurezza Internazionale, presso il campus di Forlì dell'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. Ho svolto uno stage MAECI-CRUI presso l'Ambasciata d'Italia a Riad, dal quale ho preso spunto per la mia tesi magistrale dal titolo "L’Arabia Saudita tra petrolio e politiche per la diversificazione economica. Un’analisi dell’evoluzione del paradigma del rentierism". Sono giornalista pubblicista dal 2012 e mi sono occupato di cronaca, politica e sport cittadini sulle colonne del quotidiano messinese “Gazzetta del Sud”. Dal 2015 faccio parte della redazione di Europae, per la quale mi occupo di Relazioni Esterne UE e Medio Oriente.

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