La sentenza di mercoledì 8 febbraio del Tribunale di Leninksy di Kirov, negli Urali, potrebbe rappèresentare il giro di boa dello scontro tra Alexei Navalny e l’attuale Presidente della Russia Vladimir Putin. Navalny è il principale oppositore del Presidente e della corruzione che ritiene abbia infestato l’intera società russa, minandone l’assetto democratico. Avvocato, specializzato in finanza, Navalny, deluso dalla sterilità della sola attività politica, ha deciso di agire sfruttando le proprie conoscenze finanziarie.
Il metodo Navalny
Il c.d. “metodo Navalny”, oltre ad essere elementare, è totalmente legale: acquistando piccole quote di società controllate dallo Stato, Navanty ne diventa azionista ottenendo il diritto di richiedere informazioni sulla gestione del denaro. Tutte le indiscrezioni sulla circolazione del capitale sono messe in rete sul suo blog, il Live Journal, attraverso il quale ha smascherato le acquisizioni illecite di vari politici ed esponenti governativi.
La portata di tali inchieste private è divenuta importante e scomoda quando sono confluite in veri e propri processi a danno di quelle società che avevano sottratto illecitamente denaro pubblico. Il “metodo” si è rivelato talmente efficace che Navalny ha partorito un nuovo progetto, il Rospil: si tratta di un sito internet sul quale pubblica le irregolarità ed i costi ingiustificati dei contratti pubblici. Un successo che ha portato all’annullamento di contratti dal valore di 7.6 miliardi di rubli.
I processi
La figura dell’onesto attivista politico, sognatore di una “Russia equa e moderna”, è stata in parte oscurata dagli scandali e dai processi che l’hanno visto protagonista. Dapprima tacciato di essere un nazionalista mascherato da liberale, Navalny è stato condannato nel 2013 per appropriazione indebita ed arrestato in aula. Mentre era consigliere del governatore della regione di Kirov, avrebbe convinto i vertici dell’azienda di proprietà statale Kirovles a vendere sottocosto diverse partite di legname con un danno di 380 mila euro. La pena a 5 anni ha scatenato le proteste di migliaia di persone che hanno occupato le strade, imputando la condanna alla decisione di Navalny di concorrere alle elezioni politiche. La forza della protesta è stata tale che la procura ha presentato ricorso avverso l’arresto, non essendo la sentenza ancora esecutiva.
Mentre l’UE esprimeva preoccupazione per la sentenza, questa è stata dapprima sospesa e poi revocata dalla Corte suprema russa con l’ordine di riesaminare il caso, dopo che la Corte EDU aveva formalmente dichiarato che “la condanna dell’attivista politico per appropriazione indebita è il risultato dell’applicazione arbitraria del diritto”. In particolare vi sarebbe stata la violazione del diritto ad un giusto processo a norma dell’art. 6 CEDU: la procedura accelerata avrebbe escluso le garanzie minime di un processo equo e avrebbe finito per condannare Navanly per fatti collegati ad una regolare attività commerciale, interpretando arbitrariamente il diritto penale.
Una nuova condanna
Ma, all’esito del riesame, il Tribunale ha condannato nuovamente il blogger alla pena di 5 anni con la condizionale, escludendolo per legge dalla possibilità di concorrere alle future Presidenziali del 2018. Pochi giorni prima la CEDU era tornata nuovamente sulle ripetute privazioni della libertà personale (ben sette) perpetrate nei confronti di Navalny a partire dal 2012 durante manifestazioni di piazza. In questo caso sarebbero stati violati non solo l’art. 6, ma anche gli artt. 5 e 11 CEDU, poiché le autorità russe lo avrebbero privato del diritto alla libertà e alla riunione. Gli arresti sarebbero stati una reazione ingiustificata ad una riunione pacifica e suggeriscono l’esistenza di un illecito comportamento abitudinario della polizia.
Navalny ha immediatamente comunicato di voler impugnare la sentenza di condanna. Il testo delle due decisioni sarebbe identico, compresi gli errori di battitura. Il leader di opposizione non vuole abbandonare la campagna elettorale appellandosi alla Costituzione, che permette a qualunque cittadino di partecipare alle elezioni purché non sia in prigione.
Il timore è che Navalny sia l’ultimo delle vittime della pratiche sovietiche riservate ai dissidenti. Già nel 2013 Amnesty International aveva acceso i riflettori sull’uso aberrante della psichiatria punitiva per mettere a tacere il dissenso. A questi timori si aggiungano gli avvelenamenti da polonio ed il recente assassinio del politico indipendentista Nemtsov: la presenza di questi “prigionieri di coscienza” rappresenta uno “sviluppo inquietante” che sarebbe opportuno debellare.