Nell’ottica della definizione di nuove strategie a lungo termine per affrontare i flussi migratori che investono il Vecchio Continente, il recentissimo summit di Parigi promosso dal presidente Macron ha rappresentato un’importante svolta rispetto al percorso precedente. L’incontro ha infatti voluto porre le basi per un’intesa Europa-Africa sulla gestione dei flussi migratori lungo le direttrici trans-sahariane e mediterranee, spostando il fronte dell’accoglienza dai Paesi europei mediterranei agli Stati africani di partenza. Presenti all’incontro i capi di governo di Italia, Francia, Germania e Spagna, oltre ai presidenti di Chad e Niger, il premier libico Fayez al Serraj e l’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri Mogherini.
Gli obiettivi dichiarati per frenare l’immigrazione
Cambia l’approccio fondamentale alla gestione dei flussi di migranti dai Paesi africani verso le coste europee. Infatti, anziché mantenere gli sforzi di pattugliamento delle acque mediterranee e di accoglienza post-traversata, il documento discusso durante il summit sottolinea la volontà degli Stati coinvolti a contenere i flussi d’immigrazione irregolare molto prima che raggiungano la Libia: la sfida è promuovere interventi socio-economici per arginare i flussi ben prima che essi raggiungano le sponde del Mediterraneo.
La collaborazione con la Libia
Alla Libia è dedicato un paragrafo apposito nel documento del Summit. Germania, Francia, Italia, Spagna e UE intendono intervenirvi direttamente al fine di creare delle fonti di guadagno alternative, accrescere la loro resilienza e renderle indipendenti dalla tratta di esseri umani. In questo contesto è anche stato lodato il progetto italiano di cooperare con 14 comunità locali sulle rotte migratorie in Libia.
La Libia rappresenta, però, la maggiore incognita del sistema: l’assenza di un governo unico e riconosciuto (il generale Khalifa Haftar non era presente al Summit), unitamente alla mancanza di strutture di polizia e di guardia costiera, rende difficoltoso il genere di controllo dei flussi auspicato a Parigi. In più, il citato accordo tra l’Italia e 14 tribù al confine meridionale ha già sollevato accuse di collaborazione con gli stessi trafficanti di esseri umani che si vorrebbe debellare. Il governo italiano ha smentito tali ipotesi, ma la gestione del potere delle milizie sarà sicuramente uno dei punti caldi da affrontare, non appena si dovrà tradurre la conferenza in azioni concrete.
L’eredità degli hotspot francesi
Non è invece completamente chiaro se e come verrà perseguita l’idea francese degli “hotspot”. Secondo le conclusioni di Parigi, infatti, le domande d’asilo dovranno essere valutate già in Ciad e Niger, ma le modalità non sono chiare, né l’obiettivo ultimo dell’accordo pare essere una mera gestione burocratica.
Quella definita durante il Summit pare invece una pianificazione volta a stimolare una “risoluzione a monte”, premiando la permanenza dei migranti sul suolo africano: la sfida è creare aree cuscinetto che possano assorbire i flussi molti chilometri a sud delle coste europee.
Si tratta di un’azione comunitaria?
Resta da valutare se e in quale modo le nuove soluzioni proposte verranno individuate nel panorama delle azioni comunitarie. Infatti, al tavolo delle trattative, l’Unione Europea è parsa quasi un ulteriore invitato, al fianco dei Paesi coinvolti direttamente. E questo nonostante la cancelliera Merkel abbia già dichiarato la necessità di rivalutare il sistema Dublino III in merito all’accettazione e alla verifica delle richieste di asilo. O nonostante l’Italia abbia ospitato, il giorno dopo, una riunione dei ministri degli Interni di Ciad, Niger, Mali e Libia, sempre sul tema dell’immigrazione.
Nel testo del documento di Parigi spicca l’espressione “Germania, Spagna, Francia e Italia, insieme all’UE”, come se l’iniziativa fosse innanzitutto delegata alla singola azione degli Stati, più che ad un concerto dell’Unione. Oltre alle numerose questioni rimaste ancora aperte, pende quindi sul progetto una voluminosa spada di Damocle: una rischiosa opposizione dei Paesi UE non presenti a Parigi, a partire dai Paesi del Gruppo Visegrad che, da mesi, contestano i “ricatti” dell’UE in tema delle politiche migratorie comuni