E’ ancora in una fase di stallo la crisi nel Golfo tra quattro Paesi arabi (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein) e l’emirato del Qatar. L’opera di mediazione svolta cautamente dal Kuwait e sostenuta dall’Unione Europea non ha permesso né la cancellazione delle sanzioni da parte dei quattro, né un cedimento da parte di Doha.
La crisi in Qatar
Le cause immediate della crisi sembrerebbero le parole pronunciate dal Presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump, il 21 maggio scorso durante una visita a Riyad (capitale saudita), allorquando ha invitato i partner nella regione ad una caccia degli elementi estremisti e terroristi jihadisti, ed al rafforzamento dell’isolamento dell’Iran, a suggello di un ordine mediorientale anti-iraniano e favorevole ai partner storici d’Israele e dell’Arabia Saudita.
Le cause profonde sarebbero invece da ricercare negli equilibri in seno ai Paesi del GCC (Consiglio di Cooperazione del Golfo), regolati dalla leadership saudita (sempre più condizionata, a sua volta, dall’ascesa della figura di Mohammed bin Salman, primo erede al trono, sostenitore di una diplomazia energetica indipendente dal petrolio ed un carline nei rapporti con l’Iran) contro il tentativo, da parte del Qatar, di perseguire una politica estera autonoma rispetto a Riyad.
Così, il 5 giugno, Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti, sostenuti dal governo non riconosciuto dall’ONU della Libia orientale, dalle Maldive e dallo Yemen, hanno accusato il Qatar di finanziare l’estremismo islamico, invitandolo a rompere ogni tipo di rapporto con Iran, Fratellanza Musulmana, Isis, Hamas ed Hezbollah. Tra le altre richieste, figura l’espulsione degli oppositori politici ospitati dal Qatar, la chiusura della rete tv al-Jazeera, la rimozione di una base militare turca e l’accettazione di un monitoraggio internazionale di durata decennale a garanzia dell’adempimento delle richieste.
Le reazioni internazionali
La crisi ha provocato un contraccolpo finanziario (con un crollo delle azioni di circa il 10%), ma dal punto di vista politico un rafforzamento del sostegno da parte dell’Iran (in termini di aiuti alimentari) e della Turchia. Ankara punta ad evitare l’isolamento politico-diplomatico, l’attrazione d’investimenti da parte del Qatar ed ha per questo motivo aumentato soldati e mezzi di stanza a Doha su autorizzazione del Parlamento.
A queste prime conseguenze, si aggiunge l’ambigua posizione tenuta sulla crisi dagli Stati Uniti d’America, i quali posseggono ad al-Oudeid la più grande base militare in Medio Oriente, da cui vengono condotti attacchi aerei contro l’Isis. Il 14 giugno, Washington ha concluso un accordo per la vendita di decine di jet F-15 a Doha dal valore di 12 miliardi di dollari. Nei giorni scorsi, il segretario di Stato Rex Tillerson si è recato nella capitale del Qatar per firmare un accordo contro il finanziamento del terrorismo: un’intesa apprezzata, ma non ritenuta sufficiente da parte degli altri Paesi della regione.
Tra i Paesi dell’Unione Europea, i governi di Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna ritengono opportuna una de-escalation ed una risoluzione della crisi. Il neo-Presidente francese Emmanuel Macron ha invitato l’emiro del Qatar Al-Thani a fine estate a Parigi. Mentre l’Alto rappresentante della Politica estera e di Sicurezza Comune dell’Unione Europea, Federica Mogherini, ha ribadito più volte nelle scorse settimane come le tensioni debbano essere gestite mediante il dialogo, «senza misure unilaterali». L’Unione è fortemente interessata ad un mantenimento delle buone relazioni tra i Paesi della regione a scopi anzitutto di sicurezza (lotta al terrorismo jihadista e prevenzione di un effetto contagio in altre regioni) ed economici (protezione degli investimenti e dei rapporti commerciali).