di Luca Orfanò
Il Presidente Trump ne è convinto: l’Italia pagherà. Secondo l’inquilino della Casa Bianca, il quale lo avrebbe espressamente chiesto al Primo Ministro italiano Paolo Gentiloni nel corso del primo incontro tra i due avvenuto a Washington, l’Italia aumenterà il suo contributo annuale alla NATO, sino ad avvicinarsi alla soglia del 2% del PIL.
Gli altri
In realtà tale soglia, che tutti i Paesi membri dell’Alleanza si impegnano ad avvicinare, è raggiunta solo da 5 dei suoi 28 componenti: Stati Uniti, Grecia, Polonia, Estonia e Inghilterra. Facile spiegare le ragioni per i paesi europei. La Grecia ha sempre destinato cospicue risorse alle spese militari, a causa della sua posizione geografica e degli attriti con Ankara (anche se anch’essa membro dell’Alleanza) mentre l’Inghilterra, quarto contributore, è uno dei membri fondatori della Nato e possiede ancora oggi un esercito tra i più potenti in Europa. Da ultimo, Polonia e Estonia, ovvero dei Paesi posizionati lungo la frontiera orientale dell’Unione Europea, al confine con l’area di influenza russa e sempre intimoriti dalle azioni del Cremlino. Tra l’altro attualmente, proprio in Polonia e nei Paesi Baltici, sono dislocati circa 4000 soldati statunitensi.
Altri partner fondamentali di Washington, come Francia, Germania e Canada, all’interno e fuori dall’Alleanza, destinano invece alle spese per la difesa una quota nettamente inferiore al 2% del PIL (la Germania soltanto l’1,2% del suo prodotto interno lordo). L’Italia si è attestata nel 2016 all’1,11% del PIL, poco più di 20 miliardi di euro. Tuttavia, la tendenza italiana non è alla diminuzione, anzi. Infatti, secondo l’ultimo rapporto del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) l’Italia si posiziona al primo posto in Europa occidentale per l’aumento delle spese militari e registrando un +11% tra il 2015 e il 2016 (in generale l’aumento in Europa occidentale nello stesso periodo è stato di un modesto + 2,6%). Un dato condizionato però anche dall’andamento lento (o talvolta negativo) del PIL italiano.
La tendenza
Tornando alla NATO e ai suoi contributori, la tendenza, nonostante soli cinque paesi membri finanzino l’Alleanza con più del 2% del PIL, è all’aumento delle contribuzioni. Nel 2016 ventidue dei ventotto stati membri hanno incrementato i loro bilanci della difesa. Al netto del contributo degli Stati Uniti, l’aumento delle spese per la Nato è stato del 3,8%. Considerando gli Stati Uniti, l’aumento delle spese militari è cresciuto comunque del 2,9%. Queste cifre evidenziano come l’Alleanza risulti ancora fondamentale agli occhi dei partner europei di Washington, e come ci siano degli sforzi significativi, considerando anche i vincoli di bilancio a cui sono sottoposti i Pesi UE, per l’incremento delle spese per la difesa. C’è da rilevare infatti come i Paesi membri dell’UE, oltre che della NATO, investano risorse anche in altri tipi di operazioni, come quelle svolte soprattutto in Africa (le varie EUCAP, EUTM, EUMM ecc…) e gli impegni contro il terrorismo.
Proprio traendo spunto dalla necessità di far coesistere i crescenti impegni con i vincoli di bilancio, sembra rafforzarsi la spinta di chi vorrebbe che i Paesi UE (e soprattutto Francia, Germania, Italia e Spagna) unissero le proprie risorse, destinandole ad una difesa comune, incrementando i controlli lungo i confini esterni e gestendo con maggiore efficienza il fenomeno migratorio e le relazioni con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo.
Più NATO uguale meno Europa?
Questo processo in realtà non andrebbe a discapito della maggiore partecipazione finanziaria all’interno dell’Alleanza Atlantica, organizzazione che i Paesi UE ritengono ancora prioritaria. Tanti sono infatti gli obiettivi comuni a quelli dei membri non-UE, come ad esempio la stabilizzazione del Maghreb e in particolare della Libia.
Soprattutto, però, fondamentale per tutti i membri è il ruolo che la NATO è chiamata a svolgere ad est dell’Unione Europea. Gli attriti seguiti all’annessione russa della Crimea ed un’Ucraina ancora fortemente in bilico tra Mosca e l’Europa hanno generato inquietudine tra i Paesi dell’Europa orientale, membri sia dell’UE che dell’Alleanza. Proprio questi Paesi hanno incrementato le loro spese militari, ma sicuramente si sentono più rassicurati dalla presenza in loco di soldati della NATO.
Proprio il fatto che questa presenza rassicuri maggiormente rispetto ai vaghi proclami di Bruxelles, spiega perché la gestione delle spese legate alla difesa rappresenti per l’UE un problema di tipo non solo finanziario. L’UE dovrà infatti riuscire a coniugare una eventuale maggiore partecipazione alla NATO (cui i partner orientali guardano sempre più come a un punto di riferimento, a discapito di Bruxelles) con quello che sono il proprio ruolo e le proprie peculiarità, evitando di essere indebolita da questa potenziale sovrapposizione. Dall’esito di questa sfida potrebbero giungere risposte anche sul futuro prossimo della stessa Unione.