Dopo diversi rinvii e un processo elettorale trascinatosi per quattro mesi, lo scorso 8 febbraio la Somalia ha scelto Mohamed Abdullahi Farmajo come presidente. In quelle che sono state le seconde elezioni dopo la fine del regime di Siad Barre, nel 1991, la democraticità, la trasparenza e l’applicazione del suffragio universale sono stati solo un miraggio. Secondo gli osservatori internazionali, tuttavia, il fatto che le elezioni si siano tenute è già un bel passo avanti per il Paese che l’ONG Transparency International considera il più corrotto al mondo, soprattutto perché tra gli eletti ci sono molte donne e dei rappresentanti “nuovi”.
La situazione nel Paese
Anche se la Somalia si era impegnata ad applicare il suffragio universale già a partire dal 2016, la situazione del Paese – stretto tra una carestia al limite del disastro umanitario e la piaga terroristica di Al-Shabab – ha reso la promessa irrealizzabile, e l’inclusione della popolazione è stata posticipata al 2020. Invitare i cittadini alle urne, attualmente, sarebbe impossibile per motivi di sicurezza. Le condizioni sono così gravi che le votazioni si sono svolte all’interno di un hangar blindato della capitale, su cui è stato imposto il blocco del traffico aereo e il coprifuoco. La sera precedente le elezioni si sono verificati alcuni attacchi di Al-Shabab.
Il processo elettorale
Il processo elettorale applicato in Somalia è molto complesso: per prima cosa 135 anziani, rappresentanti dei 5 clan e dei vari sotto-clan, hanno scelto 14025 delegati. Questi hanno votato i deputati delle due camere, che a loro volta hanno eletto prima i propri portavoce e poi il presidente della repubblica. Su una popolazione di 10,5 milioni di abitanti, quindi, sono stati solo i 14025 delegati, a loro volta scelti da 135 anziani, a votare: meno dello 0.2% dei cittadini. La misera rappresentatività è stata aggravata dai continui rinvii delle votazioni, che a dicembre hanno portato ONU, Unione Africana, Unione Europea e diversi governi (tra cui l’Italia) a rilasciare una dichiarazione congiunta per esprimere perplessità sulle elezioni: il presidente sarebbe dovuto essere eletto nell’agosto 2016 secondo i piani iniziali. Un eventuale distacco della comunità internazionale sarebbe catastrofico per il Paese, fortemente dipendente dagli aiuti internazionali e già colpito dal travel ban voluto da Trump.
La stessa popolazione ha dimostrato scarsa fiducia verso il sistema adottato, in particolare perché, nonostante tutti i candidati si fossero impegnati a combattere la corruzione, notizie su frodi e intimidazioni si sono susseguite incessantemente per tutto il periodo e sono state a volte confermate dai diretti interessati. Il fatto che le poltrone siano state comprate per migliaia di dollari è particolarmente scandaloso in un Paese in cui sono moltissimi a patire la fame e a trovarsi in condizioni di povertà estrema. Pare che diversi governi esteri, tra cui Turchia, Sudan, Emirati Arabi Uniti e Qatar abbiano sostenuto questo o quel candidato per i propri interessi: ad esempio, affinché venga adottata una specifica versione dell’islam, o per stipulare accordi commerciali vantaggiosi. L’associazione somala Marqaati ha stimato che l’ammontare totale delle mazzette spese per le elezioni si aggiri sui 20 milioni di dollari. Tutti questi fattori hanno l’effetto di delegittimare il governo agli occhi dei cittadini, finendo per fare il gioco di Al-Shabab.
Spiragli
Nonostante le difficoltà, Farmajo è stato scelto come presidente della Somalia tra gli oltre venti candidati. Il risultato, che è stato accolto senza contestazioni dal presidente uscente Hassan Sheikh Mohamed, è stato per molti versi inaspettato, ma positivo. Farmajo, doppio passaporto somalo e statunitense, è stato nel passato primo ministro del Paese e gode di popolarità grazie alle sue politiche contro la corruzione. In quanto autore della riforma del sistema di pagamento dei militari, può contare anche sul sostegno dell’esercito.
Il nuovo presidente ha indicato come priorità la sicurezza, una pronta risposta alla siccità per evitare che la carestia dilaghi, e la riconciliazione dei conflitti tra clan e intra-clan, che hanno una presa molto più forte sulla popolazione rispetto al governo centrale. Farmajo ha di fronte a sé un’impresa non semplice, ma è già riuscito, con la propria elezione, a ridare un po’ di credibilità ad elezioni che di credibile hanno avuto ben poco.