Negli ultimi mesi l’attività del presidente della repubblica turca Recep Tayyip Erdoğan nei Balcani sembra essersi intensificata. Lo scorso 10 ottobre 2017 si è recato in Serbia in visita ufficiale incontrando il suo omologo serbo, Aleksandar Vučić. Pochi mesi più tardi è stato il turno Grabar Kitarovic in Croazia.
Questa serie di incontri ha mostrato come la Turchia abbia intenzione di diventare un attore importante nei Balcani. Ricucendo quello che è stato il tessuto culturale ed economico dell’Impero ottomano Erdogan sta effettuando un allontanamento significativo da quasi un secolo di politica estera turca basata sul principio elaborato da Atatürk “Pace in casa, pace nel mondo.” Questo principio si è mantenuto valido anche durante gran parte della Guerra Fredda, con la politica turca nei Balcani per lo più ridotta a diplomazia bilaterale.
La svolta della politica balcanica di Ankara
Il crollo dell’Unione Sovietica e l’emergere di paesi dell’Asia centrale, unito alla disintegrazione della Jugoslavia e le guerre che seguirono, ha rianimato la nozione della Turchia come una potenza regionale in Eurasia. Il supporto turco verso i musulmani bosniaci ed albanesi nelle guerre di Bosnia e Kosovo ha risvegliato paure che si pensavano sopite in diverse capitali dei Balcani. Negli anni novanta, questa paura era simboleggiata dal cosiddetto piano “dell’arco islamico” (a volte chiamato “trasversale verde”) che avrebbe dovuto spingere verso la rivolta i territori abitati dai musulmani in Bulgaria, Macedonia, Albania, nella provincia serba del Sangiaccato, in Kosovo e nella Bosnia-Erzegovina.
La politica turca nei confronti dei Balcani ha un punto di svolta con Ahmet Davutoğlu, ministro degli Esteri turco ed in seguito divenuto primo ministro. Davutoğlu ha teorizzato una Turchia capace di divenire ancora una volta una grande potenza in Eurasia sfruttando la sua influenza nelle ex province ottomane. Il mezzo per raggiungere questo scopo risiederebbe in un rafforzamento dei rapporti con le comunità musulmane in tutti i Balcani.
La presenza turca nel vuoto americano ed europea
La crisi finanziaria del 2008 ha giocato a favore di questa impostazione strategica. L’UE e gli Stati Uniti hanno dovuto limitare le loro capacità di proiezione mentre la Turchia, la cui economia ha sofferto in maniera limitata rispetto a quella di altre potenze, ha potuto dispiegare nei Balcani ingenti risorse diplomatiche. Un esempio è l’attività di mediazione nell’area del Sangiaccato con l’istituzione di un meccanismo trilaterale riconciliazione tra Turchia, Serbia e Bosnia-Erzegovina. Ankara ha anche istituito un’importante partnership con la Macedonia.
Altro elemento da tenere in considerazione è il ruolo turco nel controllo dei flussi migratori, un tema particolarmente sentito nell’area balcanica. La Turchia ha anche utilizzato strategie di soft power come il finanziamento della Moschea Namazgâh a Tirana, in Albania, che dovrebbe diventare la più grande moschea nei Balcani. Infine la Turchia Erdoğan rappresenta anche un modello politico per quei Paesi balcanici che si trovano di fuori delle istituzioni europee e che hanno tendenze autoritarie.
I punti deboli della strategia di Erdogan
Nonostante alcuni successi, Turchia ha diversi limiti nei suoi tentativi di trasformare la regione in un’area di influenza strategica. La maggior parte dei Paesi balcanici a maggioranza cristiana considerano la Turchia un attore che guarda esclusivamente agli interessi islamici. Inoltre il rafforzamento dei legami diplomatici tra Serbia, Bulgaria e Grecia rende più solida la presenza europea nell’area. A rafforzare questa percezione vi è l’incapacità da parte turca di tenere fede alle promesse d’investimento anche in zone tradizionalmente molto vicine alla posizione turca (ad esempio nella provincia del Sangiaccato).
Per la Turchia, il modo più efficace per continuare il processo di riaffermazione nei Balcani potrebbe risiedere nel proseguo di una cooperazione genuinamente pragmatica, basata su interessi reciproci con la capitali balcaniche. Questo deve essere fatto senza richiamare l’eredità ottomana, che pone una grave tensione emotiva sui paesi che hanno la memoria lunga di occupazione islamica.
Non vi sono quindi segnali per un’immediata affermazione turca come potenza regionale ma piuttosto segnali dall’allarme per l’Unione Europea. I popoli dei Balcani sembrano maggiormente attratti dall’opzione europea, ma non aspetteranno per sempre.