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L’unione bancaria: spezzare il circolo vizioso tra banche e debito sovrano

Nell’ottobre 2011, a tre anni dal fallimento di Lehman Brothers, ormai assunto come origine della crisi finanziaria mondiale, la Commissione Europea aveva approvato aiuti di Stato al sistema bancario per oltre 4.500 miliardi di euro. Diversi nomi, tra cui alcuni big del credito, sono finiti nella morsa della crisi: Fortis, Anglo Irish Bank, Dexia, e ancora Abn Amro, ING, SNS Reaal, Montepaschi, Bankia e, da ultimo, il crack delle banche cipriote che ha tenuto l’Europa con il fiato sospeso per un paio di settimane.

Piegati dal cosiddetto credit crunch, ossia dal prosciugamento della liquidità tramite i consueti canali di rifinanziamento interbancari, ed esposti alla debolezza delle finanze pubbliche di buona parte dell’eurozona, gli istituti bancari si sono ritrovati imbrigliati nel cortocircuito finanziario che ha portato l’Europa in recessione. Da un lato la Banca Centrale Europea (BCE), costretta nei fatti ad operare sostanziose immissioni di liquidità, dall’altro Paesi come Italia e Spagna che hanno premuto sulle proprie banche perché questa liquidità venisse utilizzata per calmierare i tassi sui propri titoli di Stato.

A farne le spese sono stati in gran parte i cittadini. Il salvataggio di numerosi istituti bancari ha certamente evitato il rischio contagio e, soprattutto, ha tutelato investimenti e risparmi, ma il drenaggio di denaro dall’economia reale verso la riduzione degli spread sui titoli pubblici, ha indebolito di molto gli effetti potenziali sulla crescita che Mario Draghi e l’Eurotower avevano attribuito alle cosiddette Long Term Refinancing Operations (LTRO), il maxi-programma (big bazooka nella vulgata degli economisti) di riacquisto di titoli da oltre 1 trilione di euro.

Le banche europee si sono presto ritrovate sul banco degli imputati, sul piano economico e sociale. Dal primo punto di vista, gli istituti bancari si sono dimostrati il nodo nevralgico di fusione tra la crisi dei debiti sovrani e la debolezza dei bilanci bancari, spesso gonfiati di titoli tossici o esposti a perdite in seguito ad haircut, come nel caso dei titoli greci, peraltro in assenza di un adeguato capitale di garanzia. Il legame fra i due aspetti è, come si è visto, reciproco: banche come quelle francesi o tedesche, particolarmente esposte su obbligazioni di Grecia e Italia, hanno operato a cavallo di 2010 e 2011 vendite sostanziose che hanno contribuito al deprezzamento di tali titoli ed al rialzo dei rendimenti, con conseguente aggravio sulle casse pubbliche. I bilanci degli Stati sono costretti a gravarsi di ulteriore debito nei casi in cui il salvataggio avviene, come per il Monte dei Paschi di Siena in Italia, tramite emissioni del Tesoro.

Le proposte della Commissione Europea

«È imperativo spezzare il circolo vizioso tra banche e debito sovrano»: così si espresse l’Eurogruppo a conclusione del vertice del 29 giugno scorso. È da qui che si deve partire per ricostruire il cammino, peraltro piuttosto rapido, che ha portato le istituzioni europee a convergere sul modello di uno strumento unico di vigilanza sugli istituti bancari europei. La riunione dei Ministri delle Finanze dei diciassette Paesi dell’area euro non faceva che riproporre il contenuto della relazione, elaborata da Herman Van Rompuy insieme ai presidenti dello stesso Eurogruppo, della Commissione e della BCE, sul consolidamento dell’Unione Economica e Monetaria presentata al Consiglio Europeo di giugno 2012.

La sorveglianza bancaria unica andava a collocarsi all’interno di un quadro finanziario integrato, il primo di quattro pilastri costitutivi – insieme ad un bilancio integrato, una politica economica integrata ed una responsabilità e legittimità democratica dei processi decisionali – di una rinsaldata unione monetaria. La vigilanza, intesa come garanzia dell’applicazione delle norme prudenziali e strumento di prevenzione delle crisi, completava il nuovo quadro integrato insieme a un sistema unico di garanzia dei depositi e a un sistema di risoluzione europeo, un fondo finanziato dalle stesse banche attivabile di fronte a crisi di liquidità o solvibilità.

La struttura è la stessa proposta dalla Commissione Europea già il 6 giugno 2012, in un comunicato stampa in cui si elencavano dettagliatamente le attività di prevenzione (definizione di piani di risanamento e di piani preventivi di risoluzione delle crisi), intervento precoce (attivazione dei piani di risanamento o di amministrazione straordinaria qualora non fossero rispettati i requisiti patrimoniali) e risoluzione delle crisi (ricapitalizzazione, vendita d’azienda o trasferimento degli attivi ad un ente-ponte) su cui avrebbe dovuto reggersi un meccanismo integrato europeo di gestione delle crisi bancarie. Di non poca rilevanza, nel documento, era la previsione di un fondo di risoluzione delle crisi, finanziato dagli stessi istituti bancari per una cifra pari ad almeno l’1% dei depositi, da non impiegare in casi di salvataggio.

La Commissione trasferì il medesimo impianto anche nella Comunicazione rilasciata il 12 settembre 2012, che si accompagnava a due proposte di regolamento per ridefinire il quadro finanziario europeo. Il completamento dell’unione bancaria passava attraverso l’adozione del succitato meccanismo di vigilanza unico, in cui la European Banking Authority, creata nel 2010 quale ente regolatore del sistema bancario, sarebbe stata affiancata dalla BCE in qualità di supervisore unico dei 6.000 istituti di credito localizzati nella zona euro. Dal luglio 2013 il controllo della BCE sarebbe stato operativo per le cosiddette “banche sistemiche”, ossia con almeno 30 miliardi di euro di attivi di bilancio, e dal gennaio 2014 per tutti gli altri istituti.

La BCE veniva così investita di pieni poteri di indagine, vigilanza e intervento correttivo, soprattutto in materia di requisiti di patrimonio e liquidità, leva finanziaria e corrispondenza della capitalizzazione rispetto al profilo di rischio della banca presa in esame. Alle banche centrali nazionali sarebbero rimasti inizialmente il controllo degli istituti non sistemici – comunque avocabili a sé dalla BCE in ogni momento – e le attività anti-riciclaggio, tutela del consumatore e vigilanza sulle filiali di banche di Paesi terzi.

La Commissione legava strettamente la nuova attività di sorveglianza, giudicata fondamentale per evitare rischi sistemici, alla previsione di un meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie. A tal proposito, un passaggio della comunicazione sosteneva con vigore la necessità di trasferire il peso dei salvataggi dai cittadini al capitale coinvolto nelle stesse banche: «azionisti e creditori dovranno farsi carico dei costi prima dell’eventuale ricorso a finanziamenti esterni, e occorrerà trovare soluzioni nel settore privato invece di utilizzare il denaro dei contribuenti». Un principio che sarebbe stato presto messo da parte.

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L' Autore - Antonio Scarazzini

Direttore - Analista nella società di Public Affairs Cattaneo Zanetto & Co., ho frequentato un Master in European Political and Administrative Studies al Collège d'Europe di Bruges dopo la laurea a Torino in Studi Europei Dopo uno stage presso Camera di Commercio di Torino e una collaborazione di ricerca con la Fondazione Rosselli, ho collaborato dal 2014 con la Compagnia di San Paolo per lo sviluppo del programma International Affairs. Dirigo con orgoglio la redazione di Europae sin dalla sua nascita.

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