La Conferenza delle Parti (COP21) riunita a Parigi ha trovato un’intesa che da più parti è stata definita “storica”. L’Accordo di Parigi segna, almeno nelle intenzioni, un passo in avanti significativo nella lotta al cambiamento climatico, fissando nuovi obiettivi molto ambiziosi per la riduzione delle emissioni di gas serra nell’atmosfera, ritenute dalla comunità scientifica come la principale causa del surriscaldamento globale. Le trattative di Parigi si sono giocate sia su una nuova visione delle misure da adottare per evitare l’eccessivo riscaldamento del pianeta, sia su un piano squisitamente politico, come anticipato su questa pagine alla vigilia del vertice.
L’Accordo di Parigi alla COP21
Il principale risultato della Conferenza è stato il consenso sulla necessità di mantenere l’aumento delle temperature globali al di sotto della fatidica soglia dei 2 gradi Celsius. Non solo: l’intesa finale si dimostra più progressiva del previsto, indicando come obiettivo un aumento inferiore a 1,5 gradi, per rispondere ai timori delle nazioni insulari, preoccupate dall’innalzamento del livello dei mari. Per raggiungere questo obiettivo si richiede agli Stati firmatari di rivedere i piani nazionali depositati prima del summit: le intended nationally determined contributions (INDCs) presentate da 185 Paesi, secondo una valutazione dello UNFCCC, provocherebbero infatti un aumento delle temperature compreso fra i 2,7 e i 3 gradi centigradi.
L’Accordo individua una soluzione a questo problema nell’invito a tutti i firmatari di riunirsi ogni 5 anni per rivedere al rialzo i propri programmi di taglio delle emissioni. Questo significa che ad ogni prossimo vertice internazionale, gli Stati partecipanti saranno vincolati a presentare misure che migliorino gli attuali piani di riduzione. Attraverso questo processo di costante rinegoziazione e controllo internazionale, le emissioni dovrebbero conoscere il loro picco “il più presto possibile”. L’intesa siglata a Parigi ambisce a tracciare la strada anche per i decenni a venire: l’obiettivo è quello di raggiungere “la neutralità dal carbonio” entro la seconda metà del secolo, indirizzando gradualmente l’economia verso l’abbandono dello sfruttamento di forme di energia come i combustibili fossili.
Una nuova logica contro il riscaldamento climatico
La lettera dell’Accordo, ma anche il laborioso processo di avvicinamento, che ha portato le nazioni partecipanti a sottoscrivere impegni nazionali di riduzione delle emissioni, pone fine all’epoca segnata dal Protocollo di Kyoto. Questo accordo, siglato nel 1997, si fondava sull’imposizione di limiti nazionali alle emissioni (caps). Oggi, non sono previsti limiti precisi (il metodo è considerato fallito), ma i partecipanti si impegnano a ridimensionare la quantità di gas serra immessa nell’atmosfera. Un cambio di prospettiva forse sottile, ma che consente di includere con più facilità i Paesi in via di sviluppo, che non si vedono applicare vincoli troppo stringenti.
Basterà questo approccio più flessibile a coinvolgere maggiormente Paesi come Cina e India? Molto potrà anche fare la promessa, finalmente sancita dall’Accordo di Parigi, di trasferire 100 milioni di dollari all’anno ai Paesi meno sviluppati, in modo che riducano le loro emissioni, ma soprattutto facciano fronte a tanti altri fattori legati al surriscaldamento climatico: deforestazione, desertificazione del suolo, insicurezza alimentare, spostamenti di popolazione, inquinamento dell’aria e delle acque. Problemi particolarmente percepiti anche in Cina, fino a pochi anni fa il principale oppositore a qualsiasi vincolo ambientale.
Un risultato politico
Stati Uniti e Unione Europea, in particolare la Francia, rivendicano il grande successo dell’iniziativa. Sicuramente la presidenza Obama e gli ospiti francesi hanno investito un capitale politico notevole nell’Accordo, che però ora dovrà essere approvato da un Congresso ostile e implementato dai Paesi europei, fra cui quelli dell’Europa orientale, come la Polonia. In positivo ha giocato il marcato coinvolgimento cinese e la sensazione che non si potesse perdere nuovamente una simile occasione.
Perché la riduzione delle emissioni non sia un mero wishfull thinking sarà però necessario un forte impegno a livello nazionale, dato che l’Accordo non impone alcun vincolo preciso. Gli Stati sono oggi tenuti a lavorare affinchè il picco delle emissioni venga raggiunto presto e poi velocemente lasciato alle spalle. L’Accordo di Parigi è Storia, ma il successo dipenderà dall’azione quotidiana di governi, imprese e cittadini.