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Trump, le incognite su clima e ambiente

L’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti ha definitivamente sdoganato un’idea di politica pragmatica e realista, che insegue i bisogni e le paure della gente piuttosto che ispirarne i principi, una politica già trionfante nel caso della Brexit e decisamente diversa dall’astrattezza e idealismo del suo predecessore Obama. Per dirla come i protagonisti, si è passati dal “Yes, we can!” ad “America First!”.

Non è ancora dato sapere che tipo di presidente sarà Trump, ma sicuramente si è posto in netto distacco rispetto al suo predecessore, anzitutto in un ambito: l’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici.

Trump e ambiente: dai tweet agli obiettivi di policy

Questi temi sono stati tra i veri protagonisti della discussione elettorale e ciò permette una chiara ricostruzione, almeno per pilastri cardine, della piattaforma programmatica di “The Donald”. Se, come ormai di consuetudine accade, dovessimo ricostruire il pensiero di Trump tramite i suoi tweets, tre sono quelli che non possono passare inosservati.

Nel primo, del lontano 2012, Trump sostiene che il concetto di riscaldamento globale sia stato creato dai cinesi per rendere l’industria americana meno competitiva. Nel secondo, invece, lamentandosi del freddo invernale, banalizza la questione proponendo l’utilizzo di una “grossa dose di riscaldamento climatico”. Infine, nel terzo, accusa i media di sfruttare un concetto “fittizio di cambiamenti climatici”.

Il ragionamento di fondo che “The Donald” ha sostenuto durante tutto l’arco della campagna elettorale è che le politiche ambientali costano, sia in termini monetari sia di competitività, un costo che l’America, a suo dire, non può più permettersi.

I nodi: accordo di Parigi, Keystone e EPA

Il Tycoon ha più volte ribadito la sua intenzione di ritirarsi dal recentissimo accordo di Parigi sul clima, ipotizzando una clamorosa marcia indietro rispetto al suo predecessore Obama che, al contrario, l’aveva fortemente sostenuto. Un accordo celebrato come l’ultima possibilità, forse tardiva, di contenere l’aumento della temperatura globale entro i due gradi centigradi, soglia ritenuta limite per evitare catastrofi climatiche irreversibili. Anche se potrebbe sopravvivere all’uscita degli Stati Uniti, l’accordo perderebbe molto del suo significato e potrebbe far naufragare la già fragile intesa con la Cina in tema di ambiente. Sempre a livello internazionale, Trump ha inoltre promesso di ridurre, se non eliminare del tutto, qualsiasi finanziamento ai programmi delle Nazioni Unite volti a combattere il cambiamento climatico.

Il Tycoon si è poi più volte detto favorevole al completamento del contestatissimo progetto riguardante l’oleodotto Keystone XL, che sarebbe utilizzato per collegare l’Alberta e il Golfo del Messico, progetto già bloccato dall’amministrazione Obama, intenzionata a dare un segno del rinnovata impegno degli Stati Uniti contro l’inquinamento.

Un altro punto da chiarire sarà anche come Trump intenderà relazionarsi con l’EPA, l’Environmental Protection Agency, l’agenzia federale a tutela dell’ambiente più volte criticata in campo repubblicano, a capo della quale il presidente eletto ha nominato Scott Pruitt, procuratore generale e fedelissimo della causa negazionista dei cambiamenti climatici.

Pro e contro della linea Trump sull’ambiente

Sebbene la realizzazione delle sue proposte potrebbe comportare un beneficio immediato all’industria americana, molti sono gli aspetti che vanno tenuti in considerazione. Da un lato, il tanto acclamato vantaggio competitivo derivante dall’abbassamento degli standard ambientali, potrebbe essere facilmente eroso dall’introduzione di una carbon tax all’importazione, da parte di quei Paesi che invece impongono alle proprie industrie standard ambientali più elevati.

Inoltre, vanno considerati i costi che fenomeni climatici sempre più estremi impongono e di cui l’America ha molti esempi nel suo recente passato. Il successo o meno delle politiche ambientali di Trump si giocherà tra i cittadini, nella sua capacità di convincere una popolazione che negli anni di Presidenza Obama, è stata fortemente educata al rispetto dell’ambiente e alla lotta all’inquinamento. A riprova di ciò, si potrebbe menzionare “The American Business Act on Climate Pledge” sottoscritto negli anni da un totale di 154 società.

D’altronde, non è nemmeno chiaro quanto la lotta ai cambiamenti sia ancora di proprietà del governo e non dei singoli cittadini o delle singole imprese, che dopo gli anni di presidenza Obama, per iniziative e progetti sviluppati, sembrano ben più consapevoli che in passato dei benefici comuni di un ambiente pulito.

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L' Autore - Dario Battistella

Studio Giurisprudenza a Trieste. Per due volte all'estero a Strasburgo e ad Amsterdam. Ho avuto un'esperienza come stagista presso il Parlamento Europeo. Curioso cittadino del mondo mi interesso di storia, politica, economia e naturalmente di ambiente. Indago il mondo per piacere, anche se ogni volta “ritorno confuso d’una ignoranza sempre più spaventosa”. Scrivere mi aiuta a pensare, sono felice di farlo per Europae.

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