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Parità di genere, le quote rosa entrano nei CDA

Accantonata la proposta di direttiva sul congedo di maternità resta sul tavolo dell’Unione Europea o meglio del Consiglio dell’Unione Europea un’altra proposta chiave sulla parità di genere: la direttiva riguardante il miglioramento dell’equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate.

La parità di genere nei consigli di amministrazione

Tale progetto di legge, presentato dalla Commissione Europea nel novembre 2012, ha come scopo l’aumento sostanziale del numero delle donne nei consigli delle società dell’UE, fissando un obiettivo minimo del 40% di presenza del sesso sotto-rappresentato fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate in Borsa e imponendo alle società che presentano una quota inferiore di introdurre, nelle procedure di selezione per tali posti, criteri prestabiliti, chiari, univoci e formulati in modo neutro, allo scopo di raggiungere tale obiettivo.

Sanzioni per le imprese

Il Parlamento Europeo nel novembre 2013 ha approvato una versione emendata della proposta con 459 voti a favore, 148 contrari e 81 astensioni. Il testo del Parlamento prevede, tra le altre cose, sanzioni per le imprese che non rispettano l’obiettivo del 40% come l’esclusione dagli appalti pubblici, e che la Commissione Europea presenti una relazione non solo sull’applicazione della direttiva, ma su come la parità di genere è applicata all’interno delle istituzioni ed agenzie europee.

La palla passa al Consiglio

Dalla fine del 2013 quindi la proposta è rimasta sul tavolo del Consiglio, che fatica però a trovare un accordo. Lo scorso 11 giugno il Consiglio EPSCO ha analizzato il progress report preparato dalla Presidenza lettone, dal quale si evince come si sia ancora ben lontani da un accordo. Il report ha fatto luce su alcuni punti in cui il Consiglio ha messo mano, ovvero le date e la flessibilità.

Secondo il Consiglio il testo andrebbe emendato in modo da posticipare la data in cui l’obiettivo delle quote rosa andrebbe raggiunto, passando dal 1 gennaio 2020 al 31 dicembre 2020, data davvero al limite visto che la proposta viene inserita nella strategia Europa 2020.

Riguardo alla flessibilità, la Presidenza sta cercando un accordo per aggiungere tra le eccezioni il caso in cui all’interno della società i membri del sesso sotto-rappresentato detengano almeno il 25% del numero totale di tutte le posizioni di consigliere non esecutivo il 20% del numero totale di tutte le posizioni di direttore e il livello di rappresentanza sia aumentato di almeno 7.5 punti percentuali nel corso di un recente periodo di cinque anni.

Nonostante questi cambiamenti, tuttavia, il disaccordo tra gli Stati membri è ancora più a monte: non tutti ritengono infatti che un intervento legislativo vincolante dell’Unione Europea sia la via giusta da percorrere.

E l’Italia?

L’Italia per una volta si è salvata dal ritornello “ce lo impone l’Europa” approvando la legge 120/2011, la quale ha stabilito che, entro tre mandati consecutivi, nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate almeno un terzo (33%) dei membri debba appartenere al genere meno rappresentato e che per il primo mandato di applicazione della legge la quota deve essere pari almeno a un quinto (20%).

Gli ultimi dati presentati dalla Consob dimostrano che tale legge ha comportato indubbiamente un cambiamento: le donne che siedono nei cda delle società quotate sono 596, 1 consigliere su 4 (26%) è donna e 228 società (98%) hanno una donna nel loro cda. Dati sicuramente positivi se si pensa che la presenza femminile nel 2008 era pari al 5,8% o anche solo nel 2014 al 22,7%.

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L' Autore - Redazione Europae

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