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Utero in affitto: la CEDU e il caso Italia

di Giulia Dondoli

Il 1 giugno 2015, il caso dei coniugi Paradiso e Campanelli è stato re-inviato alla Grande Camera della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU), per il riesame della decisione del 27 gennaio 2015. Il caso riguarda il diritto due cittadini italiani che sono ricorsi alla gestazione surrogata – detta anche “utero in affitto” – in Russia.

In Italia, la legge 40 del 2004 permetteva la sola fecondazione omologa. Il divieto per la fecondazione eterologa è stato decretato incostituzionale dalla Corte Costituzionale con la sentenza 162 del 2014. Invece, la gestazione surrogata non è possibile in Italia. Chi può permettersi di sostenerne i costi e di ottenere mesi di aspettativa dal lavoro si reca in Grecia, Russia, Ucraina, Spagna, Regno Unito, o anche in alcuni stati degli Stati Uniti o persino in India. Tuttavia, possono sorgere alcuni problemi sul riconoscimento dello Stato italiano dei bambini concepiti all’estero con gravidanze surrogate.

Il caso di Paradiso e Campanelli

Paradiso e Campanelli sono due coniugi italiani che, dopo aver tentato senza successo la fecondazione in vitro, si sono rivolti alla compagnia russa Rosjurcnsulting per una gravidanza surrogata. Nel febbraio 2011 da tale gravidanza è nato a Mosca un bambino. Per la legge russa il bambino è figlio dei due coniugi. La coppia, tornata in patria, si è tuttavia vista rifiutare dal comune di residenza la registrazione della nascita. Non solo. Siccome marito e moglie non sono genitori biologici del bambino questo è stato sottratto alla custodia della coppia e dato in affidamento. Al bambino è stato conferito un certificato di nascita solo nel 2013.

I genitori hanno presentato ricorso appellandosi all’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, perché le autoritá italiane hanno sottratto loro il bambino rifiutandosi di riconoscere il rapporto di genitorialitá stabilito all’estero. Le autorità italiane hanno giustificato la decisione appellandosi all’interesse di salvaguardare le politiche pubbliche, data l’illegalità in Italia della gravidanza surrogata.

La giurisprudenza della CEDU

La Convenzione Europea sancisce all’articolo 8 il diritto al rispetto della vita privata e familiare, e per giurisprudenza costante, la CEDU ha chiarito che tale articolo non garantisce il diritto a integrare nella famiglia un figlio attraverso l’adozione o attraverso la fecondazione assistita. Infatti, i Paesi membri del Consiglio d’Europa godono di margine di manovra sulla materia.

Relativamente al caso dei coniugi italiani, la CEDU ha preso in considerazione soprattutto tre principi: l’interesse del bambino, la famiglia di fatto, il diritto all’identità. Lo Stato italiano ha infatti l’obbligo di considerare il primario interesse del bambino. La coppia e il bambino hanno costituito una famiglia di fatto, nonostante la mancanza di un legame biologico e nonostante i coniugi abbiano potuto trascorere con il bambino solo sei mesi. Infine, il bambino non ha ricevuto certificato di nascita ed è quindi rimasto privo di identità legale per due anni.

La decisione della CEDU contro l’Italia deriva dalla considerazione per cui la rimozione del bambino da una situazione familiare può essere giustificata solo per motivi di immediato pericolo. Le autorità italiane, dicono i giudici europei, hanno violato l’articolo 8 della Convenzione perché la violazione di politiche pubbliche non rappresenta una giustificazione sufficiente a giustificare tale azione. L’Italia è stata pertanto chiamata a pagare alla famiglia una penale di 30.000 euro fra danni materiali e immateriali. Ciò non significa però che il bambino possa tornare a Paradiso e Campanelli: il bambino ha infatti instaurato legami con la famiglia in cui è stato in affidamento per due anni.

Questioni aperte

La decisione della Corte europea costituisce una parziale vittoria per i coniugi e per le famiglie che si trovano in condizioni analoghe. Tuttavia, la vittoria in sede giudiziaria non ha portato alla restituzione del figlio alla coppia, ma solo al riconoscimento della violazione dei loro diritti. In generale, le coppie che decidono di recarsi all’estero per ricorrere alla pratica dell’utero in affitto dovrebbero poter riportare i neonati in patria.

Sicuramente, il bambino non potrà essere sottratto alla famiglia di fatto. Inoltre, al bambino dovrà essere conferito un certificato di nascita e un’identità. Ciononostante, la CEDU non si è espressa sull’obbligo delle autorità di riconoscere i rapporti di genitorialità stabiliti all’estero. Saranno necessarie ulteriori determinazioni in merito da parte della Corte.

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