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Marsili: “L’Italia è favorevole all’ingresso della Turchia nell’UE”

Europae propone la seconda parte dell’intervista a Carlo Marsili, ambasciatore d’Italia ad Ankara dal 2004. La prima parte è stata pubblicata ieri.

Quali sono le ragioni e quali i possibili scenari futuri circa il ventilato allontanamento della Turchia dall’Alleanza Atlantica? E qual è il ruolo degli USA, in qualità di partner atlantico, nei negoziati Turchia – UE?

Tutte le amministrazioni USA sono sempre state molto favorevoli all’ingresso della Turchia nell’UE, e lo hanno ripetuto in ogni modo: forse addirittura esagerando e rischiando di ottenere l’effetto opposto, soprattutto nel caso di governi particolarmente sensibili come quello francese. Detto questo, gli americani hanno col tempo fatto un po’ marcia indietro, non solo per questo motivo, ma soprattutto perché la politica estera del governo turco da qualche anno a questa parte non rientra più nei canoni occidentali. Lo si è visto ad esempio con la questione dell’Iran, quando all’ONU la Turchia ha votato contro l’embargo. Adesso c’è questa questione dei missili cinesi, così come c’è la questione della Siria e quella dell’Egitto. Quella dei rapporti con Israele è una situazione che mi auguro evolva positivamente, nel senso che fino a non molti anni fa c’era un’alleanza strategica tra i due Paesi. In seguito, il governo turco ha preso una posizione diversa per i fatti di Gaza, in funzione filo palestinese, ma soprattutto filo-Hamas. La Turchia resta comunque un pilastro dell’Alleanza Atlantica, perché senza di essa la NATO non avrebbe un punto di osservazione strategico sul Medio Oriente e diventerebbe un’alleanza monca, in quanto inefficace proprio nell’area geografica più problematica.

Le diverse posizioni dei governi europei sulla possibile adesione della Turchia riflettono anche speculari posizioni dell’opinione pubblica dei vari Paesi, o questo non è sempre il caso?

Partiamo dall’opinione pubblica: se gli europei fossero chiamati tra una settimana ad un referendum sull’UE, io non so se sceglierebbero di rimanervi. Dico questo perché è meglio che le questioni di politica estera non vengano lasciate all’opinione pubblica, che si muove a seconda di come avverte le circostanze immediate e spesso sotto l’impulso di fattori mediatici. Può sembrare poco democratico, ma quasi tutti i governi europei, ad eccezione di quello francese e di quello austriaco, hanno deciso di non tenere referendum sugli allargamenti dell’Unione.

Per quanto riguarda le posizioni dei vari Paesi, ve ne sono alcuni tendenzialmente contrari, come l’Olanda – dove c’è un forte movimento anti immigrazione – e l’Austria, ed altri tendenzialmente favorevoli, come l’Italia, la Spagna, la Svezia, la Finlandia o l’Inghilterra. In Inghilterra sia liberali, sia laburisti sono assolutamente a favore, forse anche perché ritengono che l’ingresso della Turchia nell’Unione ridurrebbe l’obiettivo della piena integrazione politica: cosa peraltro non necessariamente vera, perché invece potrebbe rafforzarlo, rinsaldando la posizione dell’UE a fronte degli altri attori internazionali.

Ma le posizioni dei vari Paesi possono modificarsi anche a seconda dei governi: la stessa Germania, che oggi sostanzialmente si oppone, ha manifestato un atteggiamento molto più disponibile quando al governo ci sono stati i socialdemocratici o i verdi. I cristianodemocratici sono contrari essenzialmente per due ragioni, una che si dice e l’altra che non si dice: la prima, quella che hanno dovuto ammettere, è che la Germania perderebbe la sua posizione predominante in termini di rappresentanti, in quanto entrerebbe nell’Unione un Paese che ha più o meno la stessa popolazione. La ragione di cui non si parla è il fattore religioso: io ho trascorso molti anni in Germania, è innegabile che molti, soprattutto i cristianosociali bavaresi, vedano nella Turchia una minaccia islamica. Questo in realtà non vale solo per la Germania, è invece molto diffuso nell’opinione pubblica in genere, forse anche in quella italiana. Si tende a dimenticare che il primo Paese in cui l’Islam faceva paura era proprio la Turchia, perché la popolazione aveva accettato il principio dell’assoluta laicità dello stato: è vero che questo è in parte cambiato negli ultimi anni, ma la parte laica della popolazione continua a temere la propria religione.

In Turchia, quali sono i gruppi politici e sociali che sostengono il processo di adesione? L’UE rientrerà nella campagna elettorale in vista delle elezioni dell’agosto 2014?

In Turchia ci sono quattro partiti politici: il partito di Erdogan (AK, Giustizia e Sviluppo), che è quello maggioritario, che ha iniziato i negoziati di adesione; il partito principale di opposizione – il Partito Popolare Repubblicano – che è anch’esso a favore dell’ingresso; il partito di estrema destra – il Partito del Movimento Nazionalista – che è contrario; e poi il partito di ispirazione curda, che è assolutamente a favore. Quindi dal punto di vista della rappresentatività politica, c’è una larga maggioranza a favore: ma naturalmente l’opinione pubblica non si riflette necessariamente nell’atteggiamento dei parlamentari. Quando sono arrivato in Turchia nel febbraio 2004, si diceva che l’opinione pubblica fosse favorevole al 75-80%, oggi pare che non raggiunga neppure il 50%. Per quanto riguarda la campagna elettorale, in questo la Turchia è purtroppo un Paese assolutamente europeo: non è con la politica estera che si vincono le elezioni, e per questo non se ne parlerà molto.

Quali sono gli interessi in gioco per l’Italia? Qual è lo stato dei rapporti tra i due Paesi? L’Italia può fare pressioni sugli altri membri dell’UE a favore dell’ingresso della Turchia?

Con la sola eccezione del caso Ocalan, che poi è stato un caso che ha preso alla sprovvista lo stesso governo italiano, l’Italia ha sempre avuto ottimi rapporti con la Turchia ed una linea tradizionalmente molto favorevole al suo ingresso nell’Unione. Se si toglie la Lega Nord, la stragrande maggioranza dei parlamentari è a favore: i partiti di sinistra, con qualche riserva da parte dell’estrema sinistra, sono sempre stati favorevoli. Emma Bonino ha fatto delle lotte per sostenere l’ingresso della Turchia, ed è infatti molto amata dai turchi. È favorevole anche la destra, nonostante le destre in Europa (ad esempio in Germania e in Francia) abbiano in genere più riserve nei confronti della Turchia.

L’Italia ha circa 21 miliardi di interscambio economico con la Turchia e le aziende italiane che operano nel Paese sono 1040. Abbiamo sicuramente un forte interesse economico ad integrare la Turchia, ma abbiamo soprattutto un interesse politico, ossia quello di spostare gli equilibri dell’UE, ora centrati sui Paesi centro-nordici, verso il Mediterraneo. Per capire l’importanza di questo processo di riequilibrio, basti pensare alla questione dell’immigrazione: abbiamo bisogno di un’Unione che abbia un livello di attenzione per il Mediterraneo, compresa la sua sponda nord, pari almeno al livello di attenzione della Germania nei confronti della Polonia. La Turchia è chiaramente un Paese mediterraneo con forti legami con i Paesi nordafricani: nonostante la situazione si sia un po’ modificata negli ultimi anni, resta di estrema rilevanza.

Alcune pressioni sugli altri Paesi certamente sono state fatte dall’Italia, e nel 2014 il semestre di presidenza italiana giocherà molto a favore della Turchia: tuttavia l’Italia da sola non può farcela, perché basta un solo Paese che si oppone e la Turchia non potrà entrare nell’Unione. Si tratta di un’impresa colossale.

In foto il tramonto sul Bosforo (Foto: Wikimedia Commons)

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L' Autore - Chiara Franco

Laureanda magistrale in International and European Studies presso l’Università di Trento ed allieva della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Nel frattempo, sono passata da Parigi, Londra ed Istanbul per periodi di studio e ricerca. Scrivo di relazioni esterne dell’UE, con un occhio di riguardo a Turchia e Medioriente.

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