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Profughi: “La solidarietà della Giordania”

Mentre si conosce l’intenzione del Presidente americano Trump di costruire un muro divisorio tra gli Stati Uniti d’America e il Messico o, in realtà, di completare una barriera che iniziò ad essere edificata ancora con George Bush e sviluppata anche da Bill Clinton, poco si conosce degli 800 chilometri di muro e filo spinato che separano la Turchia da quel che rimane della Siria. Sono quasi 4.000.000 i rifugiati siriani in territorio turco, ostaggio di un accordo con l’Europa finalizzato ad evitare il ripetersi di quell’ondata migratoria via Grecia e Balcani, che tanto scosse Bruxelles e gli animi europei nel 2015.

C’è però anche un altro confine di cui si parla poco e che accetta profughi senza dover costruire muri o invadere l’Afrin, senza dover appoggiare le milizie locali per compiere stragi e senza guardare troppo le proprie casse disastrate, questo Stato è la Giordania. Ed è con questo Paese che sta collaborando l’Italia, grazie all’Italian Agency for Development and Cooperation, direttamente collegata con la Farnesina, con un occhio all’ONU e l’altro a Bruxelles. Rappresentante di questa Agenzia è Maria Calaresu, che a 28 anni compiuti ha lasciato le comodità dell’Occidente e da Amman ha raccontato alla Redazione di Europae cosa sta succedendo in Giordania.

Maria Calaresu è laureata in Scienze politiche, ha conseguito un Master in Relazioni Internazionali all’Università di Bologna ed è Dottoranda in Health and Social Care presso la Royal Holloway University of London.

1) Iniziamo con una domanda semplice, cosa e chi l’ha portata in Giordania?

Ho iniziato con uno stage presso l’Ambasciata di Italia ad Amman finanziato dall’Università di Bologna. Una volta terminata l’esperienza, ho capito immediatamente che il Medio Oriente sarebbe stato l’inizio di un’avventura umana e professionale. Dopo aver vinto una borsa di studio sponsorizzata in parte da UN / DESA e in parte dal Governo italiano, lavoro presso l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo in Giordania come Humanitarian Officer.

2) Di cosa si occupa esattamente?
Attualmente mi occupo dei programmi e dei crediti di aiuto concessi dal governo italiano all’Iraq.

3) Quanto lontana è l’Europa da quello che sta succedendo?

Vicina e lontana. Vicina perché le immagini dei bambini siriani entrano prepotentemente nelle case degli europei al punto da renderle “normali”. Lontana perché l’empatia non riesce a cogliere in toto la drammaticità della guerra. Inoltre, i mezzi di comunicazione talvolta ne sottolineano la dimensione eroica, laddove invece c’è soltanto morte e distruzione.

4) Cosa e come potrebbe fare di più la Comunità Internazionale?

Prendere coscienza dell’importanza di adottare un approccio comunitario, basato sulle reali esigenze delle popolazioni colpite dalla guerra, dai conflitti e dall’instabilità politica. Niente più impostazioni paternalistiche condite da malsane idee di esportazione della democrazia e più pragmatismo di fronte alle realtà che non possiamo e non dobbiamo modellare a nostro piacimento.

5) Dove sta sbagliando la diplomazia? E dove dovrebbe invece insistere?

Dovrebbe puntare su una diplomazia interculturale. L’Intercultura è una scelta. Ognuno di noi ha un’attitudine interculturale, anche se spesso inconsapevole. Lo sbaglio più grande risiede nel pregiudizio, nell’idea che l’accettazione delle peculiarità altrui comporti la rinuncia ai nostri valori.

6) In questa apocalisse ci sono ancora tracce di umanità? Ci racconti un aneddoto.

Tantissime, ovunque. Ho assistito con i miei occhi a tanti momenti di carità e condivisione. La comunità giordana, per quanto anch’essa ferita e destabilizzata dai conflitti circostanti, continua ad accogliere i rifugiati. Nonostante le difficoltà economiche che il Paese sta attraversando e nonostante gli attriti sociali che la presenza di rifugiati comporta, la solidarietà non manca mai.

7) Parliamo invece del ruolo delle donne. Qual è nella diplomazia internazionale?

Parlare di donne è sempre un rischio.  Se ne esalti le qualità, vieni tacciata di “femminismo”. La verità è che la parità di genere è un processo lungo e talvolta estenuante che sta dando i suoi frutti, anche nella Diplomazia internazionale.

8) Esiste invece un ruolo per la “Donna profuga”?

La donna profuga ricorda molto le donne italiane durante le guerre mondiali. Nuclei essenziali della resilienza, mantengono unite le famiglie, sono instancabili lavoratrici che, giorno dopo giorno, tessono la tela della coesione sociale.

9)  Cosa vuol dire lavorare nella Cooperazione internazionale?

Vuol dire spogliarsi dei pregiudizi per abbracciare idee di generosità innovativa e non solo. La Cooperazione è sempre più parte integrante delle politiche estere dei Paesi e, in quanto tale, raccoglie le sfide cruciali del nostro tempo, contribuendo attivamente all’individuazione di politiche di sviluppo e impegnandosi affinché le risorse utilizzate comportino un diretto coinvolgimento dei paesi beneficiari.

 

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L' Autore - Luca De Poli

classe '70, Laurea Magistrale in Economia/Management (Scienze Economico-Aziendali), seconda Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali Comparate presso l'Universita' Ca' Foscari di Venezia e Laurea tr. in Scienze Politiche a Padova. Master SDA Bocconi (2003-05) e Master Ipsoa (Pianificazione Patrimoniale). Autore del libro "78 giorni di bombardamento NATO: la Guerra del Kosovo vista dai principali media italiani" (Primo Premio al Concorso Internazionale 2015 Mario Pannunzio, Istituto Italiano di Cultura fondato da Arrigo Olivetti e Mario Soldati, Torino - Sez D). 100% del ricavato viene donato ad Amnesty International. E del libro "Ibrahim Rugova. Viaggio nella memoria tra il Kosovo e l'Italia" (Primo Premio Rive Gauche 2016 Firenze, patrocinato dal Ministero Beni Culturali - tradotto in lingua albanese). Nell'ambito economico-finanziario da circa 30 anni (Retail, Corporate & Private Banking), dal 2015 si è specializzato e opera nel mondo del Wealth Management (CF/EFPA). Per anni ha seguito progetti, nel settore bancario e non, rivolti anche al mondo del Non Profit.

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