Sebastian Kurz è entrato nelle case dei cittadini grazie a quei suoi modi affettati che ricordano, nonostante la sua giovane età, un maggiordomo. Le immagini televisive immortalano il neo-cancelliere austriaco sempre deferente e compito. L’abbigliamento è sempre curato e un sorriso impeccabile, che si trovi di fronte al Presidente della Repubblica o in un mercato rionale.
Proprio per questo, quando il 12 dicembre Kurz ha annunciato di aver trovato un accordo di governo con il partito di estrema destra FPÖ (Partito della Libertà), sono in molti ad essere rimasti stupefatti. Si tratta di una mossa all’apparenza azzardata, tanto più che i nazionalisti controlleranno i tre ministeri chiave legati alla sicurezza nazionale: Interni, Difesa ed Esteri.
L’accordo con l’estrema destra
Se si dà uno sguardo ai risultati delle elezioni legislative dello scorso 15 ottobre, balza all’occhio il florido 26% della FPÖ di Heinz-Christian Strache. È un risultato ragguardevole, che ha posto i nazionalisti quasi a pari merito con il partito socialista di Christian Kern, a sua volta nettamente superato dai popolari di Kurz (attestati al 31%). Fin da subito è parso chiaro che, esclusa una riedizione della Grosse Koalition, l’unica alternativa praticabile sarebbe stata rappresentata da un patto tra Strache e Kurz.
Ovviamente, come in tutti i compromessi, entrambe le parti hanno dovuto cedere qualcosa. I popolari dell’ÖVP, hanno dovuto rassegnarsi a lasciare delle deleghe “golose” ai ministri nazionalisti. Gli uomini di Strache, dal canto loro, si sono visti costretti a rinunciare obtorto collo alla bellicosa intenzione di convocare un referendum per uscire dall’Unione Europea. Del resto, il presidente della Repubblica Alexander Van Der Bellen ha accettato la formazione del nuovo governo proprio in cambio della promessa di non intaccare lo status “europeo” di Vienna.
Un’agenda che guarda a Est
Per quanto concerne il programma di governo, piatto forte è certamente l’immigrazione. Feroce lotta contro l’Islam radicale, difesa delle radici cristiane e tagli dei benefit per i rifugiati sono le credenziali che il governo intende utilizzare per rassicurare l’opinione pubblica, che si è opposta massicciamente al sistema di ricollocazione che dovrebbe ridistribuire in tutta Europa i richiedenti asilo sbarcati in Italia e Grecia. Si tratta delle stesse “quote” che i Paesi dell’Est Europa vedono come un attentato alla loro sovranità nazionale.
L’opposizione al sistema di quote e la lotta contro l’“islamizzazione” dell’Europa pongono l’esecutivo Kurz in linea con i governi del cosiddetto “patto di Visegrad”. Quello Vienna-Budapest-Varsavia è un asse che preoccupa non poco le cancellerie europeiste e in particolare la Francia. Si teme infatti che la rinascita “austro-ungarica” non si esaurisca sui temi dell’immigrazione e dell’Islam, ma diventi una forza contraria alle spinte federaliste di Macron e del Partito Democratico italiano. Con una Germania impantanata da mesi attorno all’enigma Merkel, il gruppo Visegrad sembra davvero nel suo momento di grazia e Kurz potrebbe assumerne il ruolo di leader “presentabile”.
Verso una svolta ultraliberista
Ma non c’è solo la politica estera: Kurz e Strache promettono un taglio radicale delle tasse (da almeno 12 miliardi), più investimenti nelle energie rinnovabili e un giro di vite contro l’“eccesso” di Welfare, che riguarderebbe in particolare i richiedenti asilo e gli immigrati. Argomenti da destra dura, che non ha paura di presentarsi al Paese con un’agenda securitaria e molto liberista.
L’inverno di Vienna è ancora rigido, ma la primavera di Kurz sembra essere in procinto di sbocciare. Probabilmente, più di qualcuno a Parigi e a Berlino comincia a preoccuparsi per l’ascesa di questo giovane e furbo “maggiordomo”.