“Le attività di lobbying opache costituiscono uno dei principali rischi di corruzione in Europa”, è la conclusione del rapporto di Transparency International presentato a Bruxelles lo scorso 15 aprile. Il rapporto, intitolato Lobbying in Europe: Hidden Influence, Privileged Access, offre un’analisi comparata dei sistemi di regolamentazione delle lobby in 19 Paesi UE e 3 istituzioni europee.
Una trasparente attività lobbying è parte integrante di ogni sana democrazia, perché permette ai gruppi di interesse più diversi – dai colossi farmaceutici alle ONG ambientaliste – di far valere il proprio punto di vista. Ma senza una regolamentazione chiara ed efficace, sono solo i gruppi con più risorse e contatti a influenzare le decisioni politiche.
Un quadro preoccupante
Il rapporto di Transparency International misura la performance dei singoli Paesi e delle istituzioni UE per quanto riguarda la regolamentazione delle lobby in tre aree specifiche: trasparenza, integrità, e parità di accesso al processo decisionale.
I risultati dello studio sono preoccupanti. L’Europa non regge certo il confronto con Canada e Stati Uniti: dei 19 Paesi esaminati, solo 7 presentano leggi o regole specifiche che disciplinano le attività di lobbying (Austria, Francia, Irlanda, Lituania, Polonia, Slovenia e Regno Unito). Anche in questi Paesi, tuttavia, le regole esistenti spesso non sono in grado di garantire gli standard richiesti di trasparenza, integrità e parità di accesso. Se si considerano tutti i Paesi e le istituzioni UE prese in esame, il punteggio medio è pari ad appena il 31% – ben al di sotto del livello ideale.
L’unico Paese che ottiene un punteggio superiore al 50% – insieme alla Commissione Europea – è la Slovenia, dove norme precise impongono ai funzionari pubblici di riferire ogni comunicazione avuta con i lobbisti. Anche nel caso sloveno, non mancano però vuoti normativi e carenze attuative.
L’Italia tra i peggiori della classe
In quanto a regolamentazione delle lobby, l’Italia ottiene un misero 20% collocandosi al terzultimo posto. Peggio dell’Italia hanno fatto solo Cipro e Ungheria (14%). Anche gli altri due Paesi mediterranei presi in esame, Spagna e Portogallo, hanno ottenuto un punteggio migliore: rispettivamente, 21 e 23 su 100.
Il problema principale è la mancanza di trasparenza, che, secondo il Presidente di Transparency International Italia Virginio Carnevali, “crea terreno fertile per una cerchia ristretta di poteri in grado di far valere in maniera indebita i propri interessi particolari”.
Un esempio? I taxi. La totale assenza di un sistema di regole sul lobbying continua a impedire una liberalizzazione del settore dei taxi in Italia.
Le istituzioni UE: la strada è ancora lunga
Bruxelles è seconda solo a Washington D.C. in quanto a densità dei lobbisti. Eppure, se si guarda alle norme che disciplinano i gruppi di pressione, le tre principali istituzioni europee ottengono un punteggio medio di solo 36 su 100. La migliore è senza dubbio la Commissione, che ottiene il 53%. Il Parlamento si ferma, invece, al 37% mentre il Consiglio UE ottiene un preoccupante 19%.
I dati dimostrano come le istituzioni europee siano tutt’altro che immuni dallo strapotere degli interessi particolari. Il Registro UE per la Trasparenza, istituito nel 2011 e modificato di recente, è un buon punto di partenza. Il problema è che, ad oggi, solo la Commissione e il Parlamento hanno aderito al progetto. In più, l’iscrizione delle lobby al Registro è su base volontaria. Senza i necessari correttivi, rischia di rimanere un’arma spuntata.
Un segnale nella giusta direzione l’ha lanciato la Commissione Juncker, rendendo obbligatorio per i Commissari, i Membri dei Gabinetti e i Direttori-Generali la pubblicazione delle informazioni relative ad ogni incontro avuto con i lobbisti. La strada verso una regolamentazione trasparente ed efficace delle lobby in Europa – nei singoli Paesi come nelle istituzioni UE – è ancora lunga e accidentata. Ma il prezzo dell’inazione è ancora più alto: in gioco è l’idea stessa di democrazia.