Nata a seguito del violento collasso della Jugoslavia nel 1991, la Macedonia è stato l’unico Paese dell’ex Federazione a non vivere in prima persona i drammi sanguinosi delle guerre balcaniche. Tuttavia, gli anni successivi alla dichiarazione di indipendenza non sono stati facili e ciò ha rallentato notevolmente lo sviluppo del Paese da un punto di vista sociale, politico ed economico.
Quale Macedonia? Un’identità mancata
A seguito dell’indipendenza dalla Jugoslavia, i governanti di allora adottarono “Republika Makedonija” come nome ufficiale del Paese, e la lingua macedone come lingua nazionale. Ciò provocò l’ira di due importanti vicini, la Grecia e la Bulgaria.
Atene dichiarò infatti che l’utilizzo del nome “Republika Makedonija”, il Sole di Verghina – simbolo ritrovato sugli scudi di Alessandro Magno – sulla bandiera e alcuni articoli costituzionali erano degli espedienti per appropriarsi indebitamente di parte della millenaria storia greca e fomentare l’irredentismo nella regione della Macedonia, nel nord della Grecia con capoluogo Salonicco. La crisi diplomatica portò anche a un breve embargo commerciale imposto da Atene nei confronti di Skopje, rimosso dopo l’intervento delle Nazioni Unite. Per risolvere la controversia internazionale, seppur temporaneamente, si è dovuto aspettare il 1995 quando le Nazioni Unite imposero al neonato Paese l’utilizzo di un nome provvisorio in attesa di una soluzione definitiva: la scelta ricadde su Former Yugoslav Republic of Macedonia, col fine di accontentare Skopje e rimarcare le origini per non indispettire i greci. Da allora, tuttavia, nessun passo avanti è stato formalmente fatto, neppure da governi meno nazionalisti come il recente di Syriza. L’opposizone greca per la cosiddetta “questione del nome” ha portato tuttavia a un rallentamento nell’adesione del Paese a diverse organizzazioni sovranazionali, una su tutte la NATO. Il 31 agosto 2017 il ministro degli esteri greco Nikos Kotzias ha incontrato la controparte macedone Nikola Dimitrov in occasione di una visita diplomatica. I due primi ministri si sono accordati su una futura ripresa dei negoziati sulla questione del nome, interrotti dalla crisi politica del 2014.
In questo particolare contenzioso sull’identità di un popolo entrò anche la Bulgaria. Seppur riconobbe immediatamente l’indipendenza della Macedonia, definì la lingua macedone come un dialetto bulgaro. Il recente trattato di buon vicinato siglato da Macedonia e Bulgaria ha tuttavia dato nuovo slancio alle relazioni tra i due Paesi, che erano tuttavia solide da un punto di vista economico e commerciale.
I fantasmi di un lungo e sanguinoso conflitto
La Macedonia è un Paese multietnico dove la seconda maggiore etnia è rappresentata dalla minoranza albanese che, secondo l’ultimo censimento, si attesterebbe al 25%. Di fede prevalentemente musulmana, confessione che rappresenta il 31% della popolazione totale macedone, è rimasta ai margini della società per molti anni. Nel 2001, complice l’ondata di profughi kosovari che alcuni anni prima di erano stabiliti nelle aree nord-occidentali, nasce ufficialmente un movimento armato denominato Ushtria Çlirimtare ë Kombetare (UÇK), omonimo dell’UÇK in Kosovo. L’UÇK macedone, a differenza di quello kosovaro che lottò per l’indipendenza, aveva differenti obiettivi. Infatti, la guerriglia che nel 2001 infiammò, pur non causando numerose vittime, il Paese aveva come obiettivo finale un maggiore riconoscimento nella vita pubblica del Paese della minoranza albanese, il riconoscimento linguistico nelle aree a maggioranza albanese e l’ufficiale nascita dell’Università di Tetovo, chiusa precedentemente dal governo macedone e unico istituto universitario in albanese. La guerriglia terminò ufficialmente con gli Accordi di Ohrid, che tuttavia non hanno sensibilmente migliorato la condizione della popolazione albanese nel Paese. Se da un lato il Paese è riuscito a evitare le tragedie accadute in Croazia, Bosnia-Erzegovina e Kosovo, dall’altro si è trovato a fare i conti con uno spinoso problema che può riaccendersi in ogni momento.
La crisi politica e il dominio di Nikola Gruevski
Dal 2006 la vita politica è stata interamente controllato dal partito nazionalista conservato VMRO-DPMNE e dal suo leader Nikola Gruevski. Per rimanere al potere, la VMRO-DPMNE ha attuato uno stretto controllo non violento della popolazione, assicurandosi in tal modo la vittoria nelle elezioni successive. La VMRO-DPMNE può essere infatti paragonata a un vero e proprio partito-Stato. Offre servizi di prima necessità, impieghi lavorativi, controlla i principali media del Paese tramite un fitto sistema di parentele – Orce Kamčev, cugino di Gruevski, è a capo dei maggiori servizi di informazione – che si sono estese anche nei più alti ranghi politici. Il caso di Sašo Mijalkov, anch’egli cugino di Nikola Gruevski e a capo dell’UBK, i servizi segreti macedoni.
Nel 2014, a seguito delle elezioni parlamentari e presidenziali, il principale partito di opposizione, i socialdemocratici della SDSM, hanno contestato l’esito elettorale. Secondo i leader della SDSM, la VMRO-DPMNE avrebbe commesso brogli elettorali, sostenuti nel 2015 dalla pubblicazione di alcune trascrizioni di intercettazioni dal leader socialdemocratico Zoran Zaev. In queste trascrizioni emergeva come la VMRO-DPMNE e Gruevski tenessero sotto stretto controllo circa ventimila persone tra magistrati, politici e giornalisti. L’intervento dell’Unione Europea con il Commissario Johannes Hahn e il mediatore europeo Peter Vanhoutte hanno portato alla firma degli Accordi di Pržino, che prevedevano la costituzione di un governo tecnico che portasse il Paese alle elezioni.
La consultazione elettorale, tenutasi nel dicembre 2016, ha visto la vittoria della VMRO-DPMNE ma non all’ottenimento del governo. Consuetudine politica, trasformatasi in obbligo dalle riforme costituzionali post-2001, della Macedonia è di formare un governo di coalizione tra il maggior partito politico rappresentante i macedoni e la sua controparte albanese. Nonostante la vittoria della VMRO-DPMNE (51 seggi contro i 49 della SDSM su un parlamento monocamerale di 120), i partiti albanesi – la BDI/DUI di Ali Ahmeti, ex combattente nel 2011 e storico alleato della VMRO-DPMNE, la PDS/DPA di Menduh Thaçi e Lëvizja Besa – hanno sostenuto i socialdemocratici di Zaev, portando a un primo cambio nella politica macedone.
Tra mala politica e l’obiettivo UE
Il quadro macedone è estremamente complesso e instabile. Le cause vanno ritrovate non solo nella malapolitica che ha dominato il Paese sin dalla sua nascita, ma anche in numerose cause interne ed esterne che pregiudicano la vita democratica della Macedonia. Un Paese che, seppur piccolo, ha una sua discreta importanza in quanto dal 2005 è Paese candidato all’ingresso nell’UE e, ancor più importante, è stato uno dei Paesi interessati dalle forti migrazioni dal contesto mediorientale.