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Nuit Debout, la protesta raggiunge anche la Francia

Dopo la crisi globale del 2008, è emersa un’abbondante casistica di movimenti anti-globalizzazione e anti-liberisti: si possono enumerare innanzitutto “Occupy Wall Street”, vale a dire quel magmatico patchwork di personalità e movimenti, che diede vita a una protesta colorata e multiforme. Nel Vecchio Continente si possono ricordare gli Indignados spagnoli, che nel pieno del momento più grave della crisi europea (2010-11) occupavano le piazze in nome dell’eguaglianza e della solidarietà, e in Italia l’esplosione del Movimento 5 Stelle, una peculiare forma di protesta di massa, ora divenuta quasi partito di massa. Da non dimenticare è l’avanzata in Grecia dei movimenti anti-austerity: un’epopea che fu alla base della vittoria elettorale di Tsipras, così come del referendum (luglio 2015) vinto proprio contro l’austerità.

Il movimento Nuit Debout in Francia

La Francia per ora era stata un’eccezione: pur percorsa da un malessere profondo, la società transalpina pareva destinata a scaricare tutta la sua rabbia anti-sistema nel voto rancoroso al Front National. Tuttavia, è la scintilla è stata la legislazione sul lavoro della Ministra El Khomri, cioè l’ennesimo provvedimento a favore della liberalizzazione del mercato del lavoro che prevedeva l’alleggerimento della disciplina sui licenziamenti, rendendo meno onerosi le “dismissioni” di lavoratori.

Il progetto governativo ha suscitato sdegno e sconcerto in molti settori dell’opinione pubblica: settimane di scioperi, proteste e sit-in nella speranza di accumulare quella “massa critica” necessaria per far retrocedere il governo. Ecco che qui scatta “Nuit Debout” (letteralmente “Notte in piedi”): il movimento nasce simbolicamente a Place de la Rèpublique di Parigi, luogo simbolo degli attentati del 13 novembre. Tutto parte il 31 marzo: proiezione del film “Merci Patron” di Francois Ruffin, il caporedattore di un giornale semisconosciuto dal nome “Fakir”. Dopo la fine della proiezione, si decide all’istante di non rientrare a casa e di occupare ad oltranza.

In poco meno di un mese, Nuit Debout si trasforma in un fenomeno impetuoso che diventa virale negli hashtag di Twitter e riesce a imporre un netto stop alla legge El Khomri. Gli slogan hanno un sapore sessantottino: “il potere appartiene al popolo”, “disperdere le ceneri del vecchio mondo”, “diventeremo il vostro incubo”. La figura di punta, oltre al già citato Ruffin, è Frederic Lordon, economista-filosofo, autore del saggio post-marxista “Capitalismo, desiderio e servitù”.

Un nuovo movimento contro l’establishment

La sensazione prevalente è quella di una rivolta verso l’esistente: il rifiuto di un mondo troppo brutto per essere vero, piegato dalla voglia di profitto e dalla deriva “militarista” – seguita ai recenti attentati terroristici – che minaccia di travolgere le libertà costituzionali ottenute dopo la Seconda Guerra Mondiale. Come tutti i movimenti di piazza, Nuit Debout ha una forza centripeta: riesce ad aggregare la rabbia dei tanti disoccupati, la noia radicale dei “bobos” (i borghesi urbani disgustati dalla mancanza di senso della modernità), il malcontento di ciò che resta della classe operaia, le lotte femministe, l’anti-parlamentarismo di stampo populista, lo spaesamento delle generazioni di giovani d’origine africana o araba.

Molti commentatori hanno giustamente sottolineato come Nuit Debout non sia altro che l’ennesima versione della guerra episodica che oppone la sinistra di governo, quella moderata e “riformista” con il suo vero popolo. Una dialettica che sta alla base della conquista del Labour inglese da parte di Jeremy Corbyn, oltre al relativo successo riscosso da Bernie Sanders.

Tuttavia, questa visione rischia di portare su una strada sbagliata: le tematiche anti-globalizzazione, ormai, non sono più esclusivo patrimonio delle sinistre radicali o comuniste; esse stanno diventando temi di massa su cui uomini politici, anche conservatori, centrano le proprie campagne elettorali. Tali sporadiche esplosioni di rabbia verso l’establishment sono la punta dell’iceberg di un malcontento strutturale: la crisi dell’Occidente, il suo declino senza apparente fine, è divenuto palpabile anche dalle persone comuni, che cominciano a percepire un generico e caotico bisogno di liberazione.

Per ora, l’osservatore è nella situazione di colui che unisce i puntini senza ancora scorgere la figura che sta prendendo forma: consapevole della crisi gravissima di legittimità delle istituzioni, conscio del fatto che un numero crescente di persone vuole distruggere l’attuale sistema, si guarda un orizzonte in cui cominciano a lampeggiare i primi segnali confusi di rivolta.

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L' Autore - Giacomo Giglio

Laureato magistrale in Economia Internazionale, fin da giovanissima età ho avuto grande passione per la politica e l'economia. Critico con la visione classica dell'economia, mi occupo spesso di temi inerenti la crisi finanziaria e i travagli della zona Euro dopo lo scoppio della crisi 2008-09

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