Quest’anno si festeggiano i 67 anni di adesione della Grecia e della Turchia alla NATO.
Era il 1952 e quella “risoluzione di adesione al Trattato Nord Atlantico” ha voluto dire molte cose: non solo ridimensionare drasticamente le spese e gli investimenti militari per entrambe le parti, ma ha avuto anche un forte valore simbolico in quanto per la prima volta diventa membro, in una realtà a maggioranza e tradizione cristiana, un paese musulmano.
L’accordo più importante tra l’Europa e la Turchia, invece, rimane quello sui migranti del marzo 2016 dove di fatto si è voluto dare uno stop alla rotta balcanica, quel flusso di migranti dalla Siria e non solo che poco ha fatto onore all’Europa e che ha dato linfa ai movimenti sovranisti.
Certamente questo rimane uno degli accordi più importanti anche se non è riuscito a tradursi in un successo, tantoché rimane ancora bloccata la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, tema delicato e anticamera per l’ammissione all’Europa.
Nel frattempo al largo delle coste siriani e libanesi la questione cipriota rimane ancora pending, ricordata solo stagionalmente, e con pigre attenzioni, dai media occidentali.
Nella parte turca dell’isola pesa ancora la forte presenza dei militari e dopo il fallimento dell’ONU sembra che la diplomazia si sia seduta…movimenti e proclami lenti tantoché lo status quo parrebbe accontentare entrambe le parti e i cartelloni cubitali che invitano a “Remember Cyprus” con la parte turca “sanguinante” sono consumati dal sole, dagli anni e si confondono, quasi a sparire, nel paesaggio.
In generale le frontiere fra Grecia e Turchia sono ancora militarizzate, sicuramente all’acqua di rosa, ma sempre militarizzate.
Abbiamo provato a passare la frontiera a piedi entrando in Turchia tramite la dogana greca di Kastanies.
Il check point sembra un residuo della guerra fredda anche se i soldati ricambiano i saluti con timidi sorrisi e brevi cenni con la mano.
Qua e là si trovano ancora bunker, torrette, postazioni con sacchi di sabbia ma per lo più sono vuoti, dando l’impressione di essere più luoghi di addestramento per reclute che altro.
Prendiamo il taxi, direzione Edirne.
La città turca, come tutto il distretto, è una chiara rappresentazione di un islam occidentalizzato. L’euro padroneggia, come se fosse la valuta locale soprattutto dopo le montagne russe dove la lira turca è stata capace di deprezzarsi pesantemente e drasticamente nel giro di pochi mesi dopo anni di apparente tranquillità, spaventando i mercati di mezzo mondo.
In giro tracce di siriani, ombre schive, veloci, che ti guardano con i loro occhi magnetici che riflettono ancora dolore e abbandono.
La Turchia secondo il mondo delle statistiche rimane il Paese che sta accogliendo più rifugiati in assoluto, oltre 3,5 mln. Li vedi e non li vedi. Il colore della pelle si confonde facilmente con i nativi: solo se presti maggior attenzione percepisci un senso di smarrimento, di insicurezza nei loro gesti, nei loro movimenti.
Anche loro fanno parte del pacchetto che la UE ha riservato alla Turchia nel tentativo di affrontare la questione dei migranti, il resto, l’Italia e la Spagna, è cosa nota in diretta televisiva ogni giorno.
Edirne è il pezzo europeo della Turchia, Bruxelles è dietro l’angolo ma un profugo siriano in terra europea è solo un profugo siriano senza più terra.