Giappone, Epoca Meiji, 1914. Sono passati 60 anni dalla fine del blocco commerciale, 25 anni dalla promulgazione della Costituzione Meiji e poco meno di 10 dal trionfo nella guerra russo-giapponese. L’impero nipponico sta vivendo una fase di poderosa espansione economica ed industriale e sta accrescendo enormemente il suo peso geopolitico nello scacchiere asiatico. Dopo l’annessione all’impero di Formosa (1895) e della Corea (1910), il Giappone guarda con interesse ai territori tedeschi in Asia. Basi strategiche difficilmente difendibili da una potenza troppo impegnata sul fronte continentale. Tra queste le Isole Marianne, le Caroline, le Marshall e il porto militare di Tsingtao, situato nella parte meridionale della penisola dello Shandong, di fronte alla penisola Coreana. Una testa di ponte ideale per cominciare l’invasione della Cina.
Con queste intenzioni, il Paese del Sol Levante presenta il 15 agosto un ultimatum all’ambasciatore tedesco, contenente la richiesta di abbandonare Tsingtao. La richiesta cade nel vuoto e il 23 agosto il Giappone presenta la dichiarazione di guerra. Per qualche mese l’unico evento degno di nota è però l’affondamento dell’incrociatore giapponese Takachiho da parte di una torpediniera tedesca, il 17 ottobre. I giapponesi prendono tempo per organizzare l’assedio della città. Il tempo è infatti dalla loro parte e il grosso della flotta tedesca è in rotta verso il Sud America, per timore di dover affrontare congiuntamente le forze navali nippo-britanniche. La Germania non ha però intenzione di abbandonare Tsingtao senza combattere, malgrado abbia a disposizione solo 3.600 uomini, quattro cannoniere e un incrociatore austro-ungarico (la torpediniera è andata persa nell’attacco del 17), che dovranno fronteggiare i circa 25 mila uomini schierati dalle forze alleate.
Nella notte tra il 31 ottobre ed il 1° novembre comincia ufficialmente l’assedio. La colonia tedesca viene cannoneggiata da mare e da terra e dopo neanche tre settimane è costretta ad arrendersi, non tanto per le perdite subite (200 uomini) quanto per il blocco degli approvvigionamenti imposto fin dall’inizio delle ostilità, che aveva stremato i tedeschi. I 3.400 superstiti tedeschi vengono catturati ed internati fino al 1920 in un campo di prigionia giapponese. Il 16 novembre 1914 finisce ufficialmente finito il dominio tedesco su quell’angolo di Cina.
L’impronta lasciata dai tedeschi non è stata però mai cancellata da Tsingtao. Sono ancora evidenti infatti i massicci interventi per la modernizzazione delle infrastrutture, la costruzione di scuole e l’edificazione di vaste aree industriali e commerciali. La piazzaforte è diventata una città di quasi 9 milioni di abitanti, dotata di un free trade zone e numerose università di studi scientifici e tecnologici. A memoria dell’occupazione tedesca rimangono però numerosi edifici ed una tradizione, una sorta di Oktoberfest.
Ad essere dimenticati, nel giro di qualche decennio, saranno invece gli screzi tra Germania e Giappone, trasformati nell’asse Berlino-Tokyo (e Roma). Le due potenze percorreranno infatti strade simili: un governo autoritario ed un sistema economico fortemente influenzato da grossi gruppi industriali e da una forte vocazione espansionistica. Anche nel secondo dopoguerra, il percorso economico dei due Paesi, entrambi sconfitti, è simile (almeno per la Repubblica Federale). Bassissima inflazione, industria automobilistica ben sviluppata e settore bancario più azionista e imprenditore che erogatore di prestiti.
Una profonda distinzione si avrà invece negli anni ’80. Il Giappone indirizza la sua produzione sull’high tech ma deve affrontare i problemi legati all’alto debito pubblico ed all’invecchiamento della popolazione. Con la stampa di moneta che non può diventare la panacea di tutti i mali. La Germania invece compie un percorso diverso, diventando l’economia egemone in Europa. 100 anni dopo Tsingtao, le due nazioni sono sedute allo stesso tavolo nel negoziato di libero scambio UE-Giappone, forse meno conosciuto del TTIP ma comunque importante. Un trattato che rappresenta una scommessa e una speranza per l’economia giapponese e per quella europea: anche oggi, quindi, Germania e Giappone combattono per lo stesso obiettivo.