L’ultimo mondiale giocato in Brasile nel 1950 fu anche il primo a cui gli inglesi accettarono di iscriversi. Disputato dopo un’interruzione di 12 anni causata dalla seconda Guerra Mondiale, rappresentò una debacle per l’ Inghilterra, che non si qualificò per il girone finale e venne sconfitta da Spagna e Stati Uniti. In particolare la batosta subita con gli americani ebbe un preciso valore simbolico: un’ulteriore dimostrazione della supremazia dell’ex colonia inglese, un passaggio di consegne a chi avrebbe governato il mondo da lì in avanti.
A quel mondiale, poi, avrebbe dovuto partecipare anche l’India. La sua indipendenza, ottenuta nel 1947, fu la dimostrazione più evidente della fine dell’impero coloniale britannico. Vi era quindi la possibilità di vedere le due squadre affrontarsi in un partita che avrebbe avuto un forte valore simbolico. Gli indiani vennero però estromessi dal torneo, in quanto la FIFA non permise loro di giocare a piedi nudi. Una storia più unica che rara.
A 64 anni di distanza, la compagine inglese fa il suo ritorno in Brasile. I giocatori che la compongono sono però decisamente diversi rispetto a quelli di allora. Dell’attuale rosa fanno infatti parte 7 giocatori di colore, originari dell’ex-impero coloniale britannico. È il caso, fra gli altri, di Wellbeck, di origini ghanesi, e Sturridge, di origini jamaicane. La variegata rosa inglese è frutto della storia. L’Inghilterra, più in generale la Gran Bretagna, ha avuto un passato particolare, diverso da quello di Stato-Nazione della Francia. Questa specificità ha avuto ripercussioni anche sulla cittadinanza. Essere cittadini, come viene comunemente inteso al giorno d’oggi in altri Paesi, è un fenomeno piuttosto recente in Gran Bretagna.
In passato i diritti legali e politici venivano infatti concessi non in quanto cittadini, ma in quanto sudditi della corona. Così, fino al 1948, tutte le persone nate sotto il dominio del reame erano considerati “britannici”. Non era prevista una cittadinanza ad hoc per gli abitanti delle colonie, per la stessa Gran Bretagna, o per i Paesi indipendenti del Commonwealth. Con lo smantellamento del suo impero, il Regno Unito ha dovuto ridefinire sé stesso come stato-nazione e creare per la prima volta una cittadinanza nazionale.
Poiché quest’ultima non è esistita fino al 1981, la Gran Bretagna non aveva nemmeno un preciso criterio con cui stabilire chi ammettere nel suo territorio. Nei primi anni del secondo dopoguerra si è così continuato ad ammettere tutti i soggetti britannici, una categoria che includeva tutti i cittadini degli altri Paesi indipendenti appartenenti al Commonwealth. Per questi ultimi, la situazione cambiò dal 1962, dopo che una massiccia immigrazione da Jamaica, India e Pakistan provocò preoccupazioni oltremanica: la Gran Bretagna passò gradualmente ad un concetto di cittadinanza nazionale e “post-coloniale” e, con esso, ad un chiaro criterio per l’ammissione nel territorio. Ciò è stato ottenuto però soltanto con la creazione di una cittadinanza di “seconda classe”, senza il diritto all’immigrazione, per i “britannici” residenti ad Hong Kong (ora cinesi) e negli altri ex possedimenti.
Questa particolarità ha portato ad un meltin’ pot decisamente variegato, al cui interno sono presenti comunità provenienti dai 54 paesi del Commonwealth e non solo. I “coloured” hanno fatto la storia della nazionale inglese, soprattutto a partire dagli anni ’80/90. Nessuna delle precedenti squadre inglesi si è presentata però ad un mondiale con un numero così alto di giocatori di origini africane e caraibiche.
Chi simboleggia la multiculturalità inglese – e quanto questa sia ormai un fenomeno ben radicato nel Paese – è Oxlade Chamberlaine, ala dell’Arsenal, uno dei migliori giovani al mondo. Alex è infatti figlio e nipote di Mark e Neville Chamberlain, anch e loro di origini africane e anche loro con presenze nella nazionale maggiore inglese negli anni’80. Sarà lui, insieme a Sturridge e Sterling, il pericolo numero uno, stasera, per la porta dell’Italia.
In foto, Raheem Sterling con la maglia del Liverpool (Kevin Walsh – Flickr 2013)