Il 19 gennaio, il premier kosovaro Isa Mustafa ha annunciato che la questione relativa all’acquisizione totalitaria del complesso minerario di Trepča, di proprietà (in gran parte) dello Stato serbo, è stata espunta dal provvedimento generale sulla riorganizzazione delle imprese pubbliche, adottato il 15 gennaio. Verrà riconsiderata invece a Bruxelles, con la mediazione dell’UE, nel quadro del negoziato Pristina-Belgrado, prossimo incontro fissato per il 9 febbraio. Una scelta più moderata, dopo che nei giorni scorsi il governo serbo aveva alzato la voce contro l’intenzione del Kosovo di acquisire, unilateralmente, il 100% dell’impianto minerario, situato nella “problematica” zona del Kosovo del Nord. Il complesso si trova infatti presso Mitrovica, città divisa in due dal fiume Ibar ed abitata da serbi (a nord) e kosovari di etnia albanese (a sud).
Il complesso ha rivestito nel tempo un’importanza rilevante. L’apice dell’importanza è stato raggiunto negli anni Settanta, nel pieno periodo titino, quando nel complesso, costituito da quaranta miniere d’oro, argento, piombo, zinco e cadmio, lavoravano oltre 20.000 operai. Fino al 1998-1999, prima dello scoppio della guerra, addirittura l’80% dell’economia kosovara dipendeva dall’estrazione mineraria. Ed a sua volta le miniere kosovare costituivano il 70% dell’intera attività minerario-estrattiva dell’intera Jugoslavia. Le vicende belliche e le questioni etniche si sono riverberate in maniera rovinosa anche sull’immenso complesso. La situazione attuale è quella di un patrimonio di fatto non adeguatamente sfruttato. Lo stabilimento di Mitrovica nord, che impiega in maggioranza serbi, è decadente, ma fornisce lavoro a circa mille persone. Quello di Mirtovica sud, che impiega in maggioranza kosovari di etnia albanese, sembra in condizioni migliori.
La notizia dell’intenzione del governo kosovaro di acquisire interamente la proprietà delle miniere di Trepča era stata, senza troppo stupore, accolta male dalle autorità serbe. Infatti prima che il premier kosovaro annunciasse la decisione di accantonare -per il momento – la questione, Marko Djuric, Direttore dell’Ufficio serbo per Kosovo, l’aveva definita una vera e propria “confisca”, dal momento che dal complesso industriale dipendono le sorti economiche di circa 4.000 serbo-kosovari (circa 20.000 se si considera l’indotto), aggiungendo che tale operazione, se dovesse essere realizzata, andrebbe ad inficiare gravemente l’intero processo di normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo. Il 56% circa del capitale sociale del complesso minerario è inoltre di proprietà del “Fondo per lo sviluppo della Repubblica di Serbia”, complesso a cui corrisponde un ammontare di debiti di circa 400 milioni di dollari.
In Serbia non sono mancate altre reazioni. Il complesso di Trepča era stato inizialmente incluso nella lista delle 502 aziende da privatizzare nell’ambito del piano di privatizzazioni avviato dal governo serbo. Pare ci fossero anche manifestazioni di interesse provenienti da Ungheria, Canada, Svizzera e Stati Uniti. Belgrado aveva però deciso, in seguito, di escludere dal piano 19 aziende localizzate in Kosovo, al fine di evitare intoppi con Pristina (e soprattutto con Bruxelles). “Se però le autorità di Pristina non si asterranno dall’acquisire unilateralmente la proprietà di Trepča, l’Agenzia serba avvierà nuovamente le procedure per privatizzare il complesso. La Serbia è tenuta a proteggere le sue proprietà”, ha avvertito il Ministro dell’Economia serbo, Željko Sertić.
La decisione del governo kosovaro di sospendere l’acquisizione potrebbe temporaneamente calmare le acque. Via del compromesso cui non giovano sicuramente le parole – poco diplomatiche – dell’attuale Ministro degli Esteri kosovaro (ed ex premier) Hashim Thaçi, che ha affermato: “su Trepča non si negozia con la Serbia, poiché Trepča è una ricchezza del Kosovo”.
Sempre il 19 gennaio, David McAllister, relatore del Parlamento Europeo, dopo aver presentato la propria relazione sui progressi della Serbia sul percorso di adesione europea, si è augurato che i capitoli negoziali vengano aperti entro giugno, aggiungendo che “la Serbia non dovrebbe considerare la questione della nazionalizzazione di Trepča come una condizione per la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi, altrimenti verrebbe meno il dialogo, una delle condizioni per il prosieguo del percorso europeo della Serbia”. Questione al momento rimandata, quindi. Il braccio di ferro tra Pristina e Belgrado sulla questione Trepča sembra però ben lungi dall’essere risolto.