La tornata elettorale svedese del 9 settembre ha incoronato Socialdemocratici e Moderati come primi due partiti ma la destra populista degli “Sweden Democrats” ha superato la prova del voto con un buon risultato, il 17,7%, migliore di quasi cinque punti percentuali rispetto a quello ottenuto nel 2014.
La loro performance si colloca al centro dell’attenzione di politica e stampa internazionali, poiché esprime l’insofferenza di certe fasce di popolazione nei confronti, in particolare, della gestione del fenomeno migratorio da parte dell’establishment. L’approccio di Sd si basa con nettezza sulla paura dello straniero; d’altronde, quello di trasformare i richiedenti asilo e migranti irregolari in un generatore di voti è, ormai, uno schema consolidato.
L’ascesa di Democratici sull’onda della crisi migratoria
Il leader dei Democratici è Jimmie Åkesson, che avrebbe il merito d’aver lavato via il neonazismo dal partito, portandolo fuori dall’alveo estremista. Gli stessi avversari lo definiscono abile nel predire, e saper cavalcare, le impennate del malcontento popolare. All’origine del suo exploit vi fu la crisi dei migranti nel 2015: sebbene l’opinione pubblica europea conosca, sul punto, per lo più le vicende di Grecia e Italia, che le norme di Dublino qualificano come Paesi di primo approdo, anche la Svezia visse un disagio considerevole. Nel 2017, le decisioni positive adottate dalle autorità svedesi in materia di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria furono 27.852, che rappresentano il 47,1 % del totale come rileva l’Asylum International Database, in un Paese a bassa densità demografica, con poco più di 10 milioni di abitanti.
Se ricondotto in tale contesto, l’assorbimento dell’onda migratoria fu un fenomeno molto forte, a cui osservatori interni ricollegarono l’aumento dei crimini registrato negli ultimi anni. Più precisamente, si tracciò un nesso tra l’arrivo di elevate “quote pro capite” di migranti e l’insufficiente loro integrazione nelle maglie della società civile, creando ai margini delle sacche d’isolamento e insoddisfazione come raccontato da Politico Europe. Il terreno s’infertiliva sempre di più per l’insorgere di forze radicali, quali appunto Sd, che affonda le proprie radici in un movimento d’ideali neonazisti: oggi, tali ideali si sono diluiti e stinti in un calderone più ampio, che riassume in sé un marcato nazionalismo, la diffidenza nei confronti del diverso, lo slogan “La Svezia agli svedesi”, nonché un filone d’euroscetticismo.
Un altro tassello del puzzle populista
Seppure non sussistano radici totalmente comuni tra movimenti quali i Democratici Svedesi, l’AfD in Germania, l’FPÖ in Austria, le Front National in Francia, la Lega Nord ed il Movimento 5 stelle in Italia, a fare da minimo comune denominatore è oggi il cocktail di rivendicazioni populiste e nazionaliste, che si amalgama in un’unica eco comune ormai a diversi Paesi dell’Unione europea, capace di prendere il popolo per la pancia e strumentalizzare insofferenze via via diverse, al fine d’allargare la base di supporto.
Il caso svedese è, quindi, da leggersi in riferimento a quanto accade nel resto d’Europa; occorrerebbe che gli Stati membri, così come le istituzioni dell’Unione, analizzassero con serietà questo fatto. Fatto che, peraltro, racchiude una profonda incoerenza di fondo: se è vero che, non il fenomeno migratorio in quanto tale, ma la cattiva gestione dello stesso prevista da Dublino è, oggigiorno, uno degli “hot topics”sulle agende dei leader europei, la miglior soluzione possibile consisterebbe nel cambiamento delle relative regole, che esige dialogo, condivisione, comunione d’intenti: l’esatto opposto dell’isolamento nazionalista.
La dimostrazione pratica del risultato a cui portano le spinte nazionaliste è quanto accadde l’anno scorso, con la proposta di riforma di Dublino approvata dalla maggioranza del Parlamento europeo: in essa, si leggeva l’abolizione del cd. criterio del primo accesso (che prevede, in linea di massima, che sia il Paese dal cui territorio il migrante entra in Europa ad esaminarne la domanda d’asilo), sostituendolo con un sistema di equa distribuzione delle quote tra gli Stati membri. Non si sarebbe trattato, forse, di una tappa importante, che avrebbe contribuito all’attenuazione delle tensioni sul tema? Eppure, furono proprio delle idee filo-populiste a farlo naufragare, come quelle dei Paesi di “Visegrád”.
Questa circostanza dovrebbe servire da monito, per capire come il populismo, tanto svedese quanto di altra bandiera, non sia coerente con la ricerca di soluzioni comuni a problemi di portata sovranazionale.