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Photo © DAVID HOLT, 2014, www.flickr.com

Egitto: l’8 settembre la decisione sui Fratelli Musulmani

L’antefatto è una manifestazione in favore dell’ex Presidente egiziano Mohamed Morsi, avvenuta nel 2013: Morsi era stato eletto democraticamente e aveva rivestito l’incarico presidenziale per circa un anno, fino al colpo di Stato perpetrato dell’esercito. Il suo partito di provenienza, Libertà e Giustizia, è vicino a “Muslim Brotherhood”, noti in Italia come “Fratelli Musulmani”.

Un movimento, diverse anime

Fondati nel 1928 da Ḥasan al-Bannā, i Fratelli Musulmani promuovono un’ideologia basata sulle leggi e sulle morali islamiche e focalizzata sul bisogno di ravvivare la partecipazione attiva alla politica, ma anche il sostegno alle fasce di popolazione meno abbienti. Il movimento si è via via spaccato al suo interno, in una frangia reazionaria e conservatrice contrapposta ad una più fresca e riformista, con maggior appeal poiché pronta a sfidare il regime.

Nello stesso anno del sit-in pro-Morsi, i Fratelli si sono visti dipingere sulla schiena, in via ufficiale, la lettera scarlatta dell’organizzazione terroristica, che ne ha incancrenito i dissidi interni in ordine alla questione di come rapportarsi al potere costituito. Da una parte i giovani, poco inclini a compromessi, dall’altra la vecchia guardia, che preferisce una linea di condotta più accomodante.

Le proteste del 2013

Cinque anni fa, in molti avevano protestato contro la deposizione del Presidente. In relazione alle violenze derivate dallo sgombero dei manifestanti, una corte egiziana, il mese scorso, ha punito con la pena capitale 75 persone. La sentenza, che deve essere avallata dall’autorità religiosa del “Gran Muftì”, riguarda numerosi membri dei Fratelli Musulmani. Il verdetto finale è atteso per l’8 settembre.

In base ad un rapporto di Amnesty International che analizza la situazione in Egitto nell’anno 2017-2018, le magistrature ordinaria e militare sarebbero inclini ad emettere condanne a morte al termine di processi di massa celebrati in modo sommario, con esigue tutele nei confronti degli imputati.

Le libertà, in Egitto

Nel giugno del 2017, Amnesty ha lanciato un appello affinché venissero sospese alcune sentenze di morte inflitte da un’Alta Corte militare, al termine di un processo manchevole di sufficienti garanzie. Secondo l’organizzazione, in tale specifico caso, gli indizi lasciavano ipotizzare torture e altri trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione EDU compiuti per mano della “National Security Agency (NSA)” del Ministro dell’Interno, al fine di ottenere delle ammissioni di colpa.

Le condanne a morte e i processi poco garantisti sembrano inscriversi in una più ampia cornice di scarso rispetto dei diritti umani. Stando all’Human Rights Watch, l’NSA opererebbe con un’impunità quasi assoluta e risulterebbe collegata ad ipotesi ulteriori, oltre a quella riportata da Amnesty, di estorsione di confessioni tramite l’impiego della forza, delle percosse, della costrizione ad assumere posizioni dolorose in maniera prolungata ecc…

La recente sentenza del tribunale del Cairo non rappresenta, dunque, che una diretta conseguenza di tale clima di tensione, e riaccende i riflettori sul livello di protezione delle libertà fondamentali dell’uomo all’interno dell’Egitto.

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L' Autore - Roberta Bendinelli

Laureata in giurisprudenza, ho conseguito un LL.M. in diritto dell'Unione europea all'Université Libre de Bruxelles, specializzandomi in diritto dell'immigrazione.

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